GIORNO DELLA MEMORIA

Vittime ed eroi dimenticati.
La resistenza rom e sinta allo sterminio

Aprile 2005, un’anziana signora ritorna dopo sessant’anni davanti il convento di san Bernardino, ad Agnone in provincia di Isernia. La visita di Milka Goman nel paese molisano riaccende anche negli abitanti una memoria dimenticata o, per meglio dire, sepolta: quella del principale luogo di concentramento italiano di rom e sinti fino al 1943, Agnone, capitale italiana del Porrajmos – il grande divoramento – anche definito Samudaripen – tutti morti –.

La strada che porta ad Agnone, e poi ad Auschwitz, è lunga secoli e secoli di discriminazioni e segregazioni delle popolazioni romaní e trova nel fascismo degno compimento.
Già nel 1926 infatti una circolare del ministero dell’Interno invita a considerare come criminali gli «zingari» e ad espellere quelli ritenuti stranieri. Nel 1928 è Mussolini in persona a firmare una circolare che ordina di considerare spie straniere tutti i rom e i sinti.

Cominciano così gli arresti di massa, le espulsioni forzate e le prime deportazioni interne che vedranno poi in Istria le prove generali di quanto avverrà nel corso del conflitto mondiale. Qui infatti il regime decide di bonificare il confine orientale dalla presenza zingara e le deportazioni in Sardegna e nel meridione, a partire dal 1938, diventano di massa fino a quando nel 1942 le autorità locali possono rivendicare con orgoglio l’assenza di «zingari» dalla penisola istriana.

Telespresso dell'ambasciata italiana a Berlino del 9 aprile 1942
Telespresso datato 9 aprile 1942 con cui l’ambasciata italiana a Berlino informa l’ufficio Demografia e Razza che nel Reich gli zingari sono stati equiparati agli ebrei e che saranno sottoposti alla medesima legislazione razziale [Fonte, mostra "Porrajmos. Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" curata Radames Gabrielli]
Rom e sinti appena deportati nel campo di Belzec
Rom e sinti appena deportati nel campo di Belzec

Nel frattempo l’Italia ha stretto il suo nodo mortale con la Germania dove dal 1933, in totale continuità con decenni di studi e pubblicazioni eugenetiche, i nazisti stanno applicando politiche di sterilizzazione, internamenti e uccisioni di massa sulla base delle indicazioni dell’Unità d’igiene razziale del regime, un ufficio che ha il suo corrispettivo anche in Italia, l’Ufficio studi e problemi della Razza, animato da esimi studiosi:

i professori Semizzi, Peroni, Landra, Businco – tutti assidui collaboratori della rivista La difesa della razza, gli ultimi due in rapporti con il capo delle SS Heinrich Himmler – si prodigano a spiegare la strutturale pericolosità sociale e inferiorità genetica delle popolazioni rom e sinte, da controllare e quando possibile rieducare. Ignorate dalle leggi sulla razza del 1938, per le comunità rom e sinte in Italia il punto di non ritorno è la circolare del capo della polizia Bocchini dell’11 settembre 1940, riemersa dagli archivi del ministero dell’interno soltanto negli anni novanta:

indispensabile che tutti zingari vengano controllati dato che in stato di libertà essi riescono facilmente a fuggire ricerche […] vengano rastrellati nel più breve tempo possibile e concentrati sotto rigorosa vigilanza».

Un anno dopo un’altra circolare dispone istruzioni per l’internamento degli zingari, delegando alle autorità locali l’istituzione di luoghi di concentramento. Nasce così un universo concentrazionario entrato poi nell’oblio, costituito da un’ottantina di piccoli campi e luoghi di reclusione di cui sono rimaste pochissime tracce documentarie e ancor più flebili memorie: Viterbo, Montopoli Sabina, Poggio Mirteto, Collefiorito, Prignano sulla Secchia, Perdasdefogu in Sardegna e tanti, troppi altri si aggiungono ai tradizionali luoghi di confino che cominciano a essere popolati anche da rom e sinti.

L'universo concentrazionario italiano
L'universo concentrazionario italiano [Fonte, mostra "Porrajmos. Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" curata Radames Gabrielli]

Il regime si muove anche per centralizzare la deportazione

Il primo luogo prescelto è l’ex tabacchificio Saim di Boiano, che dal 1941 diviene luogo di internamento per i soli «zingari», ben presto si passa al vicino convento di Agnone che, insieme a campi di Berra a Ferrara, di Tossicìa a Teramo e di Gonars a Udine rappresentano i principali luoghi di internamento del regime nel corso del conflitto.

Zigeunerlager, Auschwitz-Birkenau [Fonte, mostra "Porrajmos. Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" curata Radames Gabrielli]
Zigeunerlager, Auschwitz-Birkenau [Fonte, mostra "Porrajmos. Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" curata Radames Gabrielli]

Il salto di qualità finale della persecuzione arriva nel 1942 quando le autorità italiane recepiscono senza batter ciglio le disposizioni tedesche: tutti gli «zingari» sono definitivamente equiparati agli ebrei e da quel momento la soluzione finale è il tragico destino che li accomuna. Il luogo prescelto non può che essere la cattedrale della morte del Reich, il campo di Auschwitz dove ai rom viene riservato un apposito settore, lo Zigeunerlager.

Ad oggi si hanno numerose prove della presenza di rom e sinti italiani sui convogli diretti in Polonia dal 22 settembre 1943. Il grosso però arriva dalla metà del 1944 quando cioè lo Zigeunerlager è in via di smantellamento per fare spazio ai 700.000 ebrei provenienti dal ghetto di Budapest. A ciò è dovuta la circostanza per cui i rom e i sinti di tutte le nazionalità giunti al campo da quei mesi in poi sono registrati come vagabondi e non come «zingari», elemento che ha reso più difficoltosa l’analisi del Porrajmos condotto ad Auschwitz.

Come per altre vittime del nazi-fascismo, anche per tantissimi rom e sinti arrendersi alla morte non è l’unica opzione, persino dentro Auschwitz.
Qui il 16 maggio 1944 circa 5000 internati dello Zigeunerlager, appresa la notizia dell’imminente «pulizia» decisa dal comando del campo, si rifiutano di uscire dalle baracche, barricandosi con bastoni e strumenti da lavoro. I nazisti sono costretti a prenderli per fame ed aspettare che le epidemie facciano il resto. Fra il 2 e il 3 agosto gli ultimi 2987 stremati prigionieri sono infine uccisi o deportati.

Veduta aerea dei 40 km quadrati del campo di Auschwitz, 31 maggio 1944
Veduta aerea dei 40 km quadrati del campo di Auschwitz, 31 maggio 1944 [Fonte, US Holocaust Memorial Museum]

Se questo è forse fra gli episodi più noti, per decenni invece l’oblio ha avvolto gli atti di eroismo e il sacrificio di centinaia di partigiani e combattenti rom e sinti.

Lo dimostra il conferimento del «Certificato al patriota» – il famoso brevetto Alexander – a uno dei più famosi partigiani sinti, Amilcare “Taro” Debar, arrivato solo nei primi anni ottanta grazie al presidente Pertini e a tutt’oggi l’unico attestato rilasciato a un partigiano rom o sinto. “Taro” la guerra ai fascisti decide di farla quando ancora neanche sa di essere un sinto: era finito in orfanotrofio da bambino e aveva perso ogni memoria.

Fa la guerra con la 48ª Brigata Garibaldi “Dante di Nanni” nelle Langhe partecipando alla liberazione di Torino. Riscopre solo nel dopoguerra le sue origini e si unisce ai suoi familiari, rimarrà in prima linea fino alla fine dei suoi giorni arrivando a rappresentare la comunità sinta presso le Nazioni Unite.

Giuseppe “Tzigari” Levakovic è invece convinto di riuscire a stare fuori dalla mischia della guerra grazie anche alla tessera del fascio che ha da quando, nel 1936, è andato a lavorare in Etiopia. Si muove con la moglie Wilma nel nordest fino a quando con un tranello Wilma è arrestata e deportata in Germania. Unirsi ai partigiani diventa l’unica opzione per “Tzigari” che resta con la brigata “Osoppo” fino al 25 aprile.

A sinistra, “Tzigari una storia rom”,
la storia vera di Giuseppe Levakovich
[History Channel]

Sopravvissute nelle baracche per rom e sinti nel campo di Bergen Belsen, 17 aprile 1945
Sopravvissute nelle baracche per rom e sinti nel campo di Bergen Belsen, 17 aprile 1945 [Fonte, US Holocaust Memorial Museum]

Fra i martiri antifascisti ci sono Renato Mastini, Lino Ercole Festini, Silvio Paina e Walter Vampa Catter, fra i dieci partigiani fucilati per rappresaglia in piazza a Vicenza l’11 novembre 1944. Pochi giorni prima, il 9, hanno fatto saltare la ferrovia a Ponte dei Marmi bloccando un treno carico di armi e uccidendo un tedesco, vengono tutti arrestati e torturati per giorni prima dell’esecuzione. Walter non è l’unico partigiano in famiglia, suo cugino Giuseppe “Tarzan” Catter combatte in Liguria e quando viene catturato, torturato e ucciso dalle Brigate nere il suo distaccamento ne prende il nome e a lui va il riconoscimento al valor militare del comando alleato.

Una storia sopravvissuta solo tramite i racconti dei pochi testimoni rimasti è poi quella di un intero battaglione di partigiani sinti, divenuti il terrore dei nazifascisti nel mantovano, i Leoni di Breda Solini. Una famiglia sinta circense che, una volta scappata nel 1940 dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia vicino Modena, alterna mattinate di spettacoli nelle piazze a nottate di azioni sabotatrici come quando disarmano una pattuglia nazista quasi senza colpo ferire.

Entrata del ghetto di Lodz dopo la deportazione di rom e sinti, 1942 [Fonte, US Holocaust Memorial Museum]
Famiglia rom davanti il campo di concentramento di Belzec, luglio 1940 [Fonte, US Holocaust Memorial Museum]

Queste sono solo alcune pagine di una storia di forza e dignità troppo a lungo colpevolmente dimenticata. Fortunatamente gli ultimi decenni hanno visto riaccendersi le attenzioni della ricerca soprattutto grazie agli sforzi di studiose come Mirella Karpati – animatrice della rivista “Lacio Drom” – Italia Iacoponi, Anna Maria Masserini e Giovanna Boursier e di progetti come Memors, il primo museo virtuale sul Porrajmos in Italia, ricco di testimonianze e documenti.

Nel dopoguerra i governi tedesco e italiano non avviano alcun procedimento per il riconoscimento formale dello sterminio etnico compiuto nei confronti delle popolazioni rom e sinti: in Germania essi figurano fra le «altre vittime» di uno sterminio che nei loro confronti sarebbe stato compiuto non con motivazioni razziali ma per la sicurezza del Reich nazista, un espediente – o per meglio dire una falsità considerata l’equiparazione del 1942 fra ebrei e rom – che di fatto ha negato ai sopravvissuti i risarcimenti dovuti. Nonostante ciò dal 2012 a Berlino esiste un monumento alle vittime del Porrajmos accanto a quello per le vittime della Shoah.

In Italia la legge che ha istituito il Giorno della Memoria il 27 gennaio non fa alcun riferimento allo sterminio di rom e sinti e a tutt’oggi sono pochissimi i sopravvissuti che abbiano ricevuto un risarcimento.

Dal 2015 la comunità internazionale ha finalmente istituito una giornata per ricordare il Porrajmos, la data scelta è il 2 agosto, anniversario di quando fu repressa nel sangue la rivolta nel campo di Auschwitz.

Fonti

Bibliografia minima:
• B. Nicolini, Caduti per la patria, in «Lacio Drom», n.2, 1965, pp. 44-45
• M. Karpati, La politica fascista verso gli zingari in Italia, «Lacio Drom», 2/3, 1984
• G. Boursier, M. Converso, F. Iacomini, Zigeuner. L’olocausto dimenticato, Anicia, Roma, 1996.
• L. Bravi, Altre tracce sul sentiero per Auschwitz. Il genocidio dei Rom sotto il Terzo Reich, Cisu, Roma, 2002
• L. Bravi, Rom e non-zingari. Vicende storiche e pratiche rieducative sotto il regime fascista, Cisu, Roma, 2007
• I. Rui, Quattro su Dieci, Vampa Edizioni, Vicenza, 2011
• G. Levakovich, G. Ausenda, Tzigari. Storia di un nomade, Bompiani, Milano, 1975
• G. De Bar, L. Puggioli, Strada patria sinta. Un secolo di storia nel racconto di un giostraio sinto, Fatatrac, Firenze, 1998

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