La storia di quello scatto è ormai nota anche nei particolari, grazie all’inchiesta di Giorgio Lonardi e Mario Tedeschini Lalli. Federico Patellani ne è l’autore e la foto, scelta tra 41 scatti, è stata realizzata sulla terrazza della redazione de l’“Avanti!”, la cui sede milanese era allora in via Senato 38, un’entrata laterale del “Palazzo dei giornali” in piazza Cavour. Il volto immortalato è della ventiquattrenne Anna Iberti. Continuiamo a non sapere le ragioni della scelta di Anna, che non è una modella di professione ma lavora all’“Avanti!” e, se è vero che lo scatto fa parte di un sottoinsieme che si impone per originalità sugli altri, ignoriamo anche le ragioni che hanno portato alla scelta proprio di quello scatto – quel taglio, quel sorriso – per la copertina del numero di giugno. Sappiamo però il titolo che l’accompagna: Rinasce l’Italia.
È interessante, allora, sia esplicitare che siamo di fronte a una fotografia costruita e individuata dopo diversi tentativi di dare forma alla notizia dell’esito del referendum per legarlo all’immaginario, sia osservare che la copertina fa parte di una serie di copertine di numeri dedicati a quella votazione. Due settimane prima, sul numero 20, un’altra ragazza con una foglia d’edera sul maglione era apparsa su uno speciale di 32 pagine e portava il titolo Ragazza Repubblicana. Nella settimana d’attesa dei risultati, sul numero 21, ancora una ragazza, ripresa a mezzo busto, tagliava obliquamente la copertina accompagnata dal titolo: Chi ha vinto?.
La sequenza delle tre copertine rende ancora più evidente l’originalità della fotografia di Patellani: il volto di una giovane donna “buca” il giornale, facendosi icona dell’irruzione dentro la sfera pubblica di quella novità di cui al momento non si ha, forse, ancora piena consapevolezza collettiva.
Il 2 giugno 1946 tutte le italiane votano: tutte, dappertutto, anche coloro le quali non avevano ancora potuto farlo alle Amministrative, perché nei loro comuni si sarebbero tenute in autunno. La storica Patrizia Gabrielli, citando la costituente Nadia Spano, osserva:
Si trattò di “un evento storico” capace di produrre un decisivo cambiamento anche sul piano simbolico […] Quel voto infrangeva una concezione del diritto di cittadinanza quale territorio maschile», obbligando inevitabilmente a «ridefinire il paradigma della cittadinanza per affermare i diritti dei cittadini e delle cittadine nel quadro dell’equivalenza più che della semplice uguaglianza.
La partecipazione a quelle elezioni è altissima – l’89,08% degli aventi diritto – con uno scarto non trascurabile se si considera la questione del genere: sono 12.998.131 le donne che votano (l’89,2% delle aventi diritto) contro 11.949.056 uomini.
Sembrò sorprendente che pur senza alcuna esperienza di elezioni, le donne considerassero del tutto naturale andare a votare. Certo c’erano state le campagne di responsabilizzazione al voto fatte da tutti i partiti, ma non bastano le campagne per spiegare il risultato.Luciana Viviani e Giglia Tedesco, antifasciste tra le prime ad essere elette nelle file del Partito Comunista e attive nell’Unione Donne Italiane
Inutile forse ricordare che quel risultato portò alla proclamazione della Repubblica con il 54,27% dei voti; significativo invece interrogare i dati dell’Assemblea Costituente nella prospettiva della storia delle donne: furono 21 su un totale di 556 eletti. Le candidate del Partito comunista erano state le più numerose (68), ne risultarono elette 9 come quelle della Democrazia cristiana, che invece ne aveva presentate solo 29. Completavano il gruppo delle 21 “madri costituenti” le due rappresentanti del Partito socialista e la sola dell’Uomo Qualunque. Tre avevano riportato nei loro collegi più voti di tutti i candidati.
Dalle ore 15,20 alle 15,40 del 25 giugno, le 21 Costituenti come i loro colleghi maschi varcano la soglia di Montecitorio, immortalate dai flash: diversamente da quelli degli uomini, i loro abiti attirano l’attenzione dei giornalisti, diventando oggetto di interesse collettivo «non solo come nota di colore» – fa notare Gabrielli – ma con tutto «il peso di un severo giudizio». Considerazione frivola, ma da tenere a memoria, che «predominano gli abiti a pallini bianchi su fondo unito», come sottotitola “Risorgimento liberale” il 26 giugno 1946. Varrà la pena notare che pare essere proprio un tessuto simile a quello dell’abito indossato da Anna quando è immortalata sulla terrazza della sede dell’“Avanti!”.
I sorrisi, la decisione nel passo, la disinvoltura naturale o cercata che gli scatti allora fissano non nascondono la consapevolezza della modesta percentuale delle donne elette, che sono solo il 3,6% con 735.254 voti. Sull’“Avanti!” del 29 giugno una fotografia, che ritrae sedute una accanto all’altra Elettra Pollastrini, Nilde Iotti, Teresa Noce, Rita Montagnana, Maria Maddalena Rossi, è accompagnata dal commento:
Affatto impacciate dalla severità dell’altro sesso, le deputatesse come le chiamano ormai, siedono a Montecitorio […] forse siedono vicine per farsi coraggio l’una all’altra.
E oggi in quel “fare corpo” unite sappiamo leggere anche la prefigurazione di quella strategia di azione che attraverserà le divisioni politiche, al fine di fare rete per far sentire la voce delle donne dentro la Costituente.
Dentro questa rete, per questo 2 giugno, fissiamo l’attenzione su Maria Maddalena Rossi, eletta nelle file del Pci: tra le elette non è la più famosa, né la più giovane (Teresa Mattei, classe 1921) o la più vecchia (Lina Merlin, classe 1887). Non sedette nella “Commissione dei 75”, quella incaricata di scrivere il testo dove entrarono invece Maria Agamben Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Nilde Iotti e, solo dal febbraio 1947, Angela Gotelli, rispettivamente inserite le ultime due nella Prima sottocommissione (Diritti e doveri dei cittadini) e le altre nella Terza (Diritti e doveri nel campo economico sociale); nessuna, ed è significativo, entrò nella Seconda commissione: Organizzazione costituzionale dello Stato.
A dare ragione della nostra scelta non è nemmeno la biografia di Maria Maddalena, come quella di molte altre segnata da una militanza convinta nelle file dell’antifascismo: condannata dal Tribunale Speciale, impegnata nell’organizzazione della Resistenza, attiva negli ultimi mesi a Milano nella sede clandestina dell’“Unità”, impegnata nell’esperienza dei “Treni della felicità” per il soccorso ai bambini nelle zone più disagiate nell’immediato dopoguerra.
L’attenzione alla sua voce dentro l’Assemblea Costituente si radica nella constatazione che durante i lavori di discussione del testo della Costituzione, apertisi il 4 marzo 1947 e conclusisi il successivo 22 dicembre, Maria Maddalena viene eletta alla presidenza dell’Unione donne italiane (Udi), carica che manterrà fino al 1956.
Con questa scelta si intende, da un lato, ricordare il rapporto stretto e costante tra elette e associazioni femminili, dall’altro evidenziare come quella ridefinizione del paradigma di cittadinanza passi per un attento ascolto delle donne, della loro esperienza e della loro vita concreta.
Il 21 aprile 1947, a chiusura della seduta pomeridiana Maria Maddalena Rossi prende la parola: non è ancora presidente dell’Udi ma, entrando nel merito del Titolo II riguardante i rapporti etico-sociali, la centralità della famiglia e l’indissolubilità del matrimonio, evidenzia il ruolo delle organizzazioni femminili. Nel «sottolineare che noi concordiamo con quei colleghi che hanno ritenuto che la Costituzione debba occuparsi della famiglia», ribadisce teoricamente quel fare proprio delle prime donne elette nel nostro Paese, che agiscono per sabotare la distinzione netta tra il pubblico e il privato che assegna alla sfera femminile i ruoli legati alla maternità e alla cura. E lo fanno attraverso una strategia che, lontana dal voler negare specificità e ruoli femminili, li rivendica per risignificarli e portarli al cuore della sfera pubblica, di modo che – fa notare Gabrielli – maternità e lavoro di cura da fondamento dell’esclusione dalla cittadinanza diventino valori per l’accesso ad essa, indicazioni per un «progetto che contiene in sé una ridefinizione del binomio diritti-doveri».
Dopo avere espresso la contrarietà sua e del suo partito all’inserimento del principio dell’indissolubilità del matrimonio, Rossi aggiunge qualche osservazione per stanare i suoi colleghi e rimarcare la forza collettiva delle donne.
Riconoscere la parità tra donna e uomo là dove la maggioranza delle donne esplicano la loro missione fondamentale nella famiglia è giusto, onorevoli colleghi. È un riconoscimento ormai maturo nella coscienza del popolo italiano […]. È un concetto ormai maturo […] ma dalle discussioni che si sono svolte in quest’Assemblea, mi è rimasta l’impressione che esso trovi qualche difficoltà a maturare nella coscienza di parecchi onorevoli colleghi.
La consapevolezza del tempo della guerra appena trascorsa, ma anche del presente vivo e doloroso di molte donne fa considerare a Rossi inammissibile che «una donna a capo della famiglia» appaia ancora «cosa tanto ridicola». L’adesione massiccia delle donne alle organizzazioni femminili è per lei la chiara e indiscutibile prova della volontà di azione concreta delle donne dentro la società; il programma dell’Udi sta, nelle sue parole, a ricordare il nesso tra il lavoro dentro l’Assemblea
e la società fuori che, consapevole del suo passato, è tesa a cercare un futuro che guarda lontano. Nell’esperienza della lotta contro «i negatori di tutte le libertà» si radica la rivendicazione della «parità per tutte le donne di tutti i diritti, nel campo politico, economico e sociale, perché esse possano, attraverso lo sviluppo della propria persona, sempre più divenire fattori di progresso in seno alla famiglia e in seno alla Nazione».
È possibile, nella scia delle parole di Rossi, far correre il pensiero alla foto di Patellani. Se varrà la pena osservare che Patellani era anche stato l’autore della fotografia della famiglia reale usata per la campagna del referendum, si può notare che tale foto fa capolino alle spalle di Anna in uno degli scatti scartati. E se già in quell’immagine la figura della giovane donna sembrava ribaltare l’iconografia della famiglia reale, nella foto della copertina di “Tempo” l’irruenza del volto sorridente rompe, sconquassa l’ordine delle parole che danno a vedere lo spazio pubblico con l’intimità propria di tutti i pensieri di una giovane donna.
È certo che ripensare alla Costituente attraverso le parole di Maria Maddalena significhi innanzitutto ribadirla come luogo ritrovato di confronto instancabile e tenace, perché le idee in gioco guardano allo sviluppo democratico del Paese sul lungo periodo. Ed è proprio, forse solo, in questa prospettiva che si può cogliere appieno quella determinazione delle Costituenti a disarticolare luoghi comuni, rimandando alla necessità dell’immaginario da coltivare per imparare a diventare una collettività capace di cogliere la ricchezza dell’esperienza, se vissuta alla pari, nell’equivalenza più che nell’uguaglianza.
Nella seduta del 26 novembre 1947, Rossi è ormai presidente dell’Udi da un mese: prende la parola sull’accesso delle donne in Magistratura e con la sua voce fa eco alle discussioni avviate da Maria Agamben Federici, eletta nelle file della Democrazia cristiana, ma soprattutto in quel momento presidente del Centro italiano femminile (Cif), associazione di donne di ispirazione cristiana: ancora una volta sottolineiamo come le donne uniscano la loro voce al di là della divisione degli schieramenti politici, o forse proprio per dare un nuovo significato a quella divisione.
La nostra profonda convinzione sulla idoneità della donna, proprio per le sue particolari doti a partecipare all’amministrazione della giustizia non è stata scossa nemmeno dagli […] argomenti che gli oppositori hanno citato a sostegno della loro tesi.
Nelle parole di Rossi, la storia delle prime donne che chiesero nel nostro Paese di essere riconosciute avvocate (Lidia Poët e Teresa Labriola) porta con sé la consapevolezza della lunga lotta per i diritti delle donne, mentre l’esperienza della guerra appena trascorsa è la radice del diritto all’indignazione di fronte ai colleghi maschi: «Dopo tante prove mirabili date dalle donne italiane in questi anni tempestosi noi avremmo il diritto, onorevoli colleghi, di scandalizzarci che da parte di alcuni si contesti ancora alla donna il diritto di partecipare all’amministrazione della giustizia». È solo dopo avere ben rinsaldato la discussione con la vita vissuta dalle donne che Rossi cerca il filo tra generazioni, usando le figure della letteratura come spettri in grado di far prendere coscienza dei nodi dell’esperienza.
È così che appare nelle discussioni dell’Assemblea Costituente la figura di Porzia de Il Mercante di Venezia:
Trecentocinquant’anni fa Shakespeare affermava nella sua opera immortale che una donna può possedere le qualità del giudice. Trecentocinquant’anni dopo, nell’Assemblea Costituente italiana si contesta alle donne il diritto di partecipare all’amministrazione della giustizia, negando loro le qualità per farlo.
La costruzione della democrazia non è solo la definizione di un sistema di regole e procedure, ma anche di uno spazio in cui corpi, concreti e diversi fra loro, agiscono «nella catena degli esseri e in quella della storia», come ci ricorda la scrittrice Charlotte Delbo, vale a dire nella tensione tra aspirazioni e sensibilità individuali e relazioni sociali e generazionali. Dentro questo spazio è chiaro alle donne che la pace non è il contrario della guerra, ma l’orizzonte indispensabile per costruire un processo democratico: rintracciare l’eco della voce di Maria Maddalena Rossi dentro le discussioni dell’Assemblea Costituente significa, per usare un’espressione di Rosangela Pesenti, dirigente dell’Udi, «riportare alla luce un filo, continuamente interrotto e sempre riannodato, di una tradizione femminile che da subito ha individuato nelle condizioni della pace il senso dello Stato».
Quando, aperta la campagna per le elezioni politiche del 1948, la rivista dell’Udi “Noi donne” presenta le candidature della presidente Rossi e della segretaria dell’Unione, Rosetta Fazio Longo, titola appunto Le candidate della pace e nell’articolo Cate Messina, a proposito di Rossi, ricorda la forza determinata del suo intervento a Montecitorio sulla ratifica del Tratto di pace nel 1947. «In un’afosa giornata estiva» aveva preso la parola e, consapevole che la discussione su quella ratifica imponeva una riflessione più ampia sulla politica estera dell’Italia, osservava:
noi non dobbiamo, soprattutto in questo momento, chiudere gli occhi di fronte ai focolai di guerra che sussistono in Europa. Legittima è la preoccupazione di coloro che si chiedono come si muove, come si muoverà il nostro Paese in mezzo a questi focolai, come agirà per evitare di attizzarli, per contribuire a spegnerli. Perché noi non dobbiamo pensare di poter ricostruire la nostra vita nazionale attraverso le sorti di una guerra: qualunque guerra non sarebbe che la nostra rovina ed il nostro annientamento.
Mentre la sua Udi si impegna in una imponente raccolta di firme per la pace e il disarmo da inviare alle Nazione Unite, Maria Maddalena diventa deputata nella prima legislatura repubblicana. Non stupisce che l’8 marzo 1949 prenda la parola, facendosi portavoce di una necessità di memoria e di una promessa.
È giusto ricordare oggi […] che quelle stesse forze [che] organizzarono il fascismo e ad esso affidarono il governo dell’Italia, quelle forze condussero il nostro Paese sull’orlo della rovina e, oggi, risollevate e riorganizzate, lavorano attivamente per preparare il ritorno ad una situazione politica ed economica nella quale ogni libertà, ogni diritto degli uomini e delle donne che vivono del loro lavoro siano soffocati, nella quale sia ad esse possibile riprendere le loro guerre di rapina. Non v’è donna in Italia che non sappia cosa significherebbe per noi una nuova guerra: significherebbe la distruzione di ciò che a noi è più caro, […] La causa della pace è la causa di tutti i popoli, e, in primo luogo, di tutte le donne, perché dalla salvaguardia della pace dipende la vita delle nostre famiglie, dipendono le nostre conquiste sociali, civili, politiche. Per questo, onorevoli colleghi, noi siamo lieti e fieri di mandare oggi da questa tribuna un saluto alle donne d’Italia, un saluto alle donne di tutto il mondo e di rinnovare a tutte la promessa di lavorare, anche noi, accanto ad esse, attivamente per la salvaguardia della pace.
Alla luce della biografia di Maria Maddalena Rossi, lavorare per la pace finisce per coincidere con il prendersi cura di quel sorriso sbucato dalle pagine del “Corriere della Sera” per annunciare l’esito del referendum del 2 giugno, impegno concreto a mettersi all’ascolto delle donne perché il dolore delle ferite lasciate dalla guerra e la fatica provata nel dopoguerra
per risanarle diventino radice di azioni in grado di immaginare forme di cittadinanza lontane da ogni retorica ma dentro l’esperienza vissuta. Di questo impegno sono tanti gli esempi che potremmo citare; certamente ne è prova il coraggioso e tenace lavoro di Rossi per il riconoscimento delle violenze subite dalle donne del basso Lazio da parte dei soldati alleati.
La lettura degli interventi di Maria Maddalena Rossi in Costituente e in Parlamento è di Elisabetta Vergani.
Nella stesura di questa storia è stata ampiamente presa in considerazione la mostra, curata da Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi, “La guerra è finita nasce la Repubblica. Milano 1945-1946. Fotografie di Federico Patellani”, esposta al Museo della Fotografia di Cinisello Balsamo dal 17 settembre 2016 al 15 gennaio 2017.
La ricerca iconografica si è avvalsa della collaborazione dell’Archivio Centrale UDI, si ringrazia Vittoria Tola (Responsabile nazionale Udi) e Ilaria Scalmani (Archivio Centrale UDI)
Fonti
Bibliografia – sitografia minima
• Rosangela Pesenti, Donne, pace, democrazia, Il filo di Arianna, Bergamo 2022.
• Patrizia Gabrielli (a cura di), Elette ed eletti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016.
• Giorgio Lonardi e Mario Tedeschini Lalli, Ecco di chi era il volto della Repubblica italiana, “la Repubblica”, 24 aprile 2016 (https://tedeschini.medium.com/ecco-di-chi-era-il-volto-repubblica-italiana-157d402c995f).
• Patrizia Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, Donzelli, Roma 2009.
• Maria Teresa Morelli (a cura di), Le donne della Costituente, Laterza, Roma-Bari 2007.
• Gabriella Bonacchi e Angela Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1993.
• Non ha ancora visto la luce una monografia dedicata a Maria Maddalena Rossi: esiste una tesi di laurea su di lei e di seguito proponiamo alcuni articoli a lei dedicati (ultima consultazione delle pagine riportate 24 maggio 2023):
• Marco Basile, Maria Maddalena Rossi: l’impegno politico di una donna della Costituente, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, A.A. 2007/2008, relatrice Prof. Adele Maiello.
Per un quadro completo delle donne all’Assemblea Costituente si rimanda al portale Elette ed eletti.
• Profilo di Maria Maddalena Rossi dal portale “Elette ed eletti”.
• Maria Maddalena Rossi, voce biografica dall’Enciclopedia delle donne.
• Maria Maddalena Rossi, L’immagine del cambiamento femminile, da “Articolo 21”.
• Le Donne antifasciste: condannata per disfattismo