8 MARZO

Storie di donne, antifascismo e Resistenza (1933-1945)

L’8 marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario giuliano), a San Pietroburgo, circa 90.000 scioperanti scendono in piazza per manifestare contro lo zar Nicola II e rivendicare la fine della guerra. Tra questi ci sono moltissime donne le quali, sfilando in corteo, chiedono a gran voce la fine delle ostilità e il ripristino della pace.

Donne manifestanti, 8 marzo 1917, San Pietroburgo
8 marzo 1917, San Pietroburgo

Così l’8 marzo non diventa solo l’inizio della rivoluzione russa, ma anche il giorno in cui si celebra la Giornata internazionale dei diritti della donna. Il percorso che conduce al raggiungimento di questi diritti, però, appare lungo e tortuoso.
Nel 1906, quando ancora appartiene all’impero russo, il Granducato di Finlandia diventa il primo paese europeo a introdurre il suffragio femminile. Pochi anni dopo, nel 1913, la Norvegia estende il diritto di voto anche alle donne e, nell’arco di un biennio, la Danimarca fa altrettanto. Proprio con la Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917, il governo provvisorio russo introduce il suffragio femminile e apre la strada all’estensione del medesimo diritto in molti altri paesi.

In Italia, invece, occorre attendere le ultime fasi della Seconda guerra mondiale. Nell’inverno del 1945, grazie a una legge emanata dal governo Bonomi, tutte le italiane possono essere nominate alle cariche pubbliche e, soprattutto, ottengono il diritto di voto. Dopo una prima finestra elettorale a livello amministrativo, il referendum del 2 giugno 1946 (contestualmente alle elezioni politiche per la Costituente) non diventa solo il simbolo del passaggio dalla monarchia alla repubblica, ma anche il momento in cui le donne italiane consolidano il loro diritto di voto su scala nazionale.

Francesca e Maria Romana De Gasperi al voto
Maria Romana e Francesca De Gasperi, rispettivamente moglie e figlia dell'allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, al seggio a Roma, 10 marzo 1946

Alle spalle di queste conquiste ci sono lunghe battaglie di donne che hanno saputo veicolare le loro istanze attraverso grandi rivoluzioni sociali e culturali. In alcuni casi la loro passione è stata il frutto di un acceso attivismo politico, in altri è emersa grazie a intense esperienze di vita che ne hanno influenzato il pensiero e, non di rado, l’azione.

Ci si riferisce, solo per citarne alcune, ad Aleksandra Kollontaj, Emma Goldman, Simone de Beauvoir, Angela Davis, Ada Gobetti, Barbara Allason, Joyce Lussu, Irene Falcón, Veneranda Manzano, Ruth Fischer e Clara Zetkin.

La loro lotta, osteggiata soprattutto (ma non solo) da vari regimi fascisti, non viene promossa esclusivamente dal movimento femminista, ma si estende anche alla difesa dei diritti dei lavoratori, delle lavoratrici e delle loro famiglie. Ecco perché, assai spesso, l’antifascismo femminile non è sinonimo di femminismo.

Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre
Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre

Nelle prime fasi della mobilitazione antifascista, ad esempio, l’alleanza tra femminismo e antifascismo viene considerata non solo possibile, ma anche desiderabile. Anche se si tratta di un’alleanza fragile e temporanea, dettata soprattutto dalla nuova minaccia nazista, questa cooperazione nel vasto ambiente dell’opposizione ai fascismi costituisce un primo passo verso la parificazione tra uomo e donna.
La nascita di una corrente politica femminista all’interno del movimento antifascista risale all’organizzazione di due grandi congressi mondiali contro la guerra finanziati dall’Internazionale comunista (Comintern).

Il primo ha luogo ad Amsterdam nel 1932, il secondo presso la Salle Pleyel di Parigi nel 1933. Oltre ad agevolare la nascita del Comitato mondiale contro la guerra e il fascismo (World Committee Against War and Fascism), questi due congressi favoriscono l’affermazione di Gabrielle Duchêne, una femminista pacifista la quale, durante la Prima guerra mondiale, ha partecipato alla fondazione della Lega internazionale delle donne per la pace e per la libertà (Women’s International League for Peace and Freedom).

Delegazione WILPF britannica al Secondo Congresso Internazionale delle Donne, Zurigo, 1919
Delegazione WILPF britannica al Secondo Congresso Internazionale delle Donne, Zurigo, 1919 [Fonte © Women’s International League for Peace and Freedom/ © Library of the London School of Economics and Political Science, LSE/WILPF/22/1]

Le donne, ripudiando la guerra, identificano nel fascismo la più grande minaccia per la pace mondiale e si mobilitano, insieme a molti altri antifascisti, allo scopo di fermare l’avanzata di Mussolini, di Hitler e dei loro sostenitori. In Francia, ad esempio, viene fondato “Femmes dans l’action mondiale”, un giornale pubblicato attraverso il Comitato mondiale delle donne (Women’s World Committee).

Dall’ottobre del 1934 all’aprile del 1939, il giornale raccoglie e diffonde contributi sulla politica nazionale e internazionale e si occupa di antifascismo, approfondendo gli eventi di maggiore portata globale come l’invasione italiana dell’Etiopia. Accanto a questi temi non emergono solo rivendicazioni di carattere femminile (come il diritto di voto), ma anche problematiche che investono la vita di tutti, a prescindere dal genere. Ci si riferisce, ad esempio, al carovita imposto dalla crisi economica in atto dopo il crollo di Wall Street nel 1929 e alla cura della famiglia.

“Femmes dans l’action mondiale”, 6 aprile 1936
“Femmes dans l’action mondiale”, 6 aprile 1936

La mobilitazione internazionale degli antifascisti (comprese le donne) si amplia e si consolida nel 1933, quando Hitler ottiene il potere in quello stesso paese, la Germania, dove le donne possono votare già dal 1918. La fine della guerra, il crollo dell’impero e l’avvento della repubblica di Weimar, infatti, consentono di estendere alle donne una serie di libertà e di diritti che, sino a quel momento, il Kaiser aveva loro negato. Non molti anni più tardi, quando Hitler disintegra le istituzioni repubblicane, il Partito comunista tedesco inizia ad accogliere indistintamente uomini e donne allo scopo di contrastare il regime nazista e parecchie comuniste tedesche si organizzano all’interno del Roter Frauen- und Mädchen Bund.

Si tratta di un’organizzazione fondata nel 1925 allo scopo di attirare le lavoratrici verso il Partito comunista facendo leva sul rispetto dei loro diritti e delle loro necessità, ad esempio in quanto madri. Anche all’interno del contesto tedesco viene fondata una rivista, “Frauenwacht”, e molte donne partecipano a corsi di addestramento militare. Ciò non significa, però, che tutti gli uomini (anche in ambito comunista) accettino la presenza femminile in prima linea. Il maschilismo serpeggia anche tra gli antinazisti e, nonostante le direttive del Partito comunista tedesco, la parità tra uomini e donne stenta ad affermarsi. La violenta contrapposizione tra nazisti e antinazisti accentua la mascolinità dello scontro e anche la veste grafica deimanifesti di propaganda spesso esclude le donne.

Eure Kinder brauchen Frieden und Brot. Darum Frauen: Wählt!
[Fonte, Bildagentur für Kunst, Kultur und Geschichte / Dietmar Katz]

In Spagna emergono alcune tra le antifasciste più radicali a livello internazionale e nel 1934, dall’incontro tra socialisti, comunisti, repubblicani e femministe francesi (tramite Duchêne), nasce un movimento antifascista femminile che prende il nome di Mujeres contra la Guerra y el Fascismo. Del gruppo fannoparte molte femministe spagnole, tra cui Isabel Oyarzábal de Palencia, Belén Sarraga, Irene Falcón e Margarita Nelken. Quest’ultima, da fervente femminista comunista, prende a modello le riforme sovietiche e accoglie positivamente il diritto di aborto.

In questa sorta di competizione verso la parità di genere non si può negare il ruolo pionieristico dell’Unione Sovietica la quale, sin dai primi anni della sua esistenza, annovera la presenza di diverse donne nella vita politica e sociale del paese. L’esempio più eclatante è forse quello della rivoluzionaria Aleksandra Michajlovna Kollontaj, la prima donna al mondo che riesce a diventare ministra di un governo. Aleksandra, però, non si accontenta e diviene anche la prima donna alla quale è conferito l’incarico di rappresentare il proprio paese presso una sede diplomatica all’estero. A partire dagli anni Venti, infatti, riveste ruoli di altissimo grado diplomatico in Norvegia e Messico, sino a diventare ambasciatrice in Svezia. Benché invisa a Stalin, riesce a sopravvivere alle “purghe” e addirittura a condurre le trattative di pace tra la Finlandia e l’Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale.

Aleksandra Kollontaj
Aleksandra Kollontaj

In Italia, sulla scia di questo intenso sforzo internazionale, emergono figure come quella di Marion Cave, moglie del leader di “Giustizia e Libertà”, Carlo Rosselli. Marion cresce in una modesta famiglia inglese di ispirazione laburista e si avvicina con interesse al movimento femminista britannico. Nel corso dei suoi studi, a Firenze, assiste alla nascita del regime di Mussolini e così, su invito di Gaetano Salvemini, reagisce aderendo al primo movimento antifascista cittadino. Dopo aver conosciuto Carlo Rosselli, la sua lotta prosegue dapprima a Milano, poi al confino a Lipari e, infine, in esilio a Parigi. In Francia, però, emerge tutta la sua delusione poiché la sua attività politica è sacrificata ai doveri familiari.

Purtroppo Marion non è l’unica donna a mettere da parte le proprie ambizioni al di fuori della famiglia. Bianca Guidetti Serra, ad esempio, è costretta a interrompere gli studi nel 1937, a causa della scomparsa prematura del padre. Dopo aver trovato impiego in una fabbrica di Torino, sopporta con fatica il regime e la guerra, almeno fino all’8 settembre 1943 quando si unisce alla Resistenza con compiti di collegamento tra formazioni delle le montagne piemontesi.

Diversamente da Bianca, ci sono donne che si uniscono alla rete antifascista a partire dalle prime fasi della guerra. Marisa Ombra, ad esempio, vi aderisce insieme al padre e alla sorella poco dopo lo scoppio del conflitto e, nel 1943, diventa una staffetta partigiana operativa nei dintorni di Asti.

Partigiane modenesi al lago di Montefiorino
Partigiane modenesi al lago di Montefiorino

Esistono altre storie in cui i valori e le priorità dell’antifascismo si intrecciano con la fede religiosa e le contraddizioni del regime. È questo il caso di Marisa Rodano, parzialmente ebrea solo di nascita, cattolica e figlia di un podestà fascista. Nonostante questo, già a partire dalla metà degli anni Trenta, aderisce all’antifascismo attraverso alcuni ambienti cattolici della periferia di Roma.
Si tratta del primo passo verso un crescente impegno che la conduce, durante l’occupazione di Roma, ad arruolarsi in un gruppo di resistenza cattolico afferente alla Sinistra Cristiana.

Ma il desiderio di impegnarsi in prima persona può emergere anche in un secondo momento, soprattutto quando la situazione precipita. Rossana Rossanda, ad esempio, rompe gli indugi tra il 1942 e il 1943 quando, sotto i violenti bombardamenti che colpiscono Milano, decide di unirsi ai gruppi antifascisti universitari della città.

Luciana Castellina cresce in una famiglia per metà ebraica e prende contatto per la prima volta con la politica nell’estate del 1943. In quel momento si trova a Riccione e sta giocando a tennis contro la figlia più giovane di Benito Mussolini, la quattordicenne Anna Maria. All’improvviso il match viene interrotto poiché la figlia del duce riceve la notizia che il padre è stato arrestato.

Partigiane delle Brigate Garibaldi festeggiano la Liberazione a Firenze
Staffette partigiane della provincia di Bologna ad una manifestazione nella città liberata

L’impegno femminile conosce varie forme di azione. Le donne che non impugnano le armi, ad esempio, contribuiscono a mettere in comunicazione i gruppi militari con i civili, consegnano e ricevono messaggi, agevolano la diffusione della propaganda clandestina nei luoghi di lavoro e nei mercati. In altre parole, svolgono un’attività di collegamento e raccolta idi informazioni che richiede qualità personali e dosi di coraggio non comuni.

Emergono storie di eroismo pari, se non superiore, a quello maschile. Il 14 agosto 1944, ad esempio, Irma Bandiera viene assassinata dai nazifascisti dopo giorni di torture e sevizie volte a estorcerle (invano) i nomi dei suoi compagni resistenti.

Irma Bandiera
Irma Bandiera [Fonte Istituto Storico Parri]

Altrove in Europa spuntano racconti di avventure che hanno dell’incredibile. In Olanda, ad esempio, Frieda Belinfante riesce a sfuggire ai nazisti travestendosi da uomo per mesi e partecipa alla resistenza locale falsificando i documenti di molte delle persone ingiustamente perseguitate dalle autorità tedesche.

Frieda Belinfante
Frieda Belinfante (a destra) posa con un'amica nella Steinbergasse, una strada storica di Winterthur, Svizzera [Fonte, United States Holocaust Memorial Museum]

Alcune donne rivestono addirittura incarichi di massima responsabilità militare. Nel 1944, in particolare, Eva Kløvstad Jørgensen assume il comando del distretto 25 di Milorg (gruppo di resistenza norvegese) dopo l’assassinio del suo precedente leader. Agli ordini di Eva rispondono circa 1.200 soldati clandestini. Su un totale di circa 50.000 partigiani appartenenti a Milorg, pare che circa il 10% sia costituito da donne.

Eva Kløvstad Jørgensen
Eva Kløvstad Jørgensen, in centro

Queste storie contribuiscono a testimoniare che l’impegno offerto dalle donne alla causa dell’antifascismo è consistente e si spinge assai oltre i dati, per così dire, ufficiali. I numeri attuali non rendono giustizia al sacrificio di numerose donne le quali, al di fuori delle grandi ricostruzioni storiche, hanno combattuto ogni giorno per la pace e non per la gloria.

Video, “Omaggio alle donne francesi
che hanno combattuto
nella resistenza,
28 novembre 1946”
[Archivio Storico Luce]

Fonti

Bibliografia minima
• Rachele Farina, Anna Maria Bruzzone (a cura di), La Resistenza taciuta, La pietra, Milano, 1976.
• Mirella Alloisio, Giuliana Beltrami Gadola, Volontarie della libertà. 8 settembre 1943-25 aprile 1945, Milano, Mazzotta, 1981.
• Patrizia Gabrielli, Col freddo nel cuore: uomini e donne nell’emigrazione antifascista, Donzelli, Roma, 2004.
• Noemi Crain Merz, L’illusione della parità. Donne e questione femminile in Giustizia e Libertà e nel Partito d’Azione, Franco Angeli, Milano, 2013.
• Chiara Bonfiglioli, Red Girls’ revolutionary tales: Antifascist women’s autobiographies in Italy, “Feminist Review”, 2014, No. 106, revolutions, pp. 60-77.
• Isabelle Richet, Women and Antifascism, Historiographical and Methodological Approaches, in Rethinking Antifascism. History, Memory and Politics, 1922 to the Present, Hugo García, Mercedes Yusta, Xavier Tabet, Cristina Clímaco (eds.), Berghahn, New York-Oxford, 2016.
• Sara Ann Sewell, Antifascism in the Neighborhood: Daily Life, Political Culture, and Gender Politics in the German Communist Antifascist Movement, 1930-1933, “Fascism”, 9(2020), pp. 167-194.

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