Fra i tanti calcoli sbagliati c’è anche la sottovalutazione di cosa abbia rappresentato la Francia negli ultimi anni per tutto l’antifascismo europeo: per i perseguitati dal fascismo italiano è il principale approdo dagli anni Venti; per i combattenti di Spagna è stata la base di partenza per combattere in difesa della Repubblica spagnola e il triste punto di approdo, e di internamento, dopo la sconfitta; per ebrei e antifascisti del Terzo Reich prima e di Polonia e Cecoslovacchia poi è l’unico paese dell’Europa continentale in cui potersi rifugiare.
Ma soprattutto la Francia è il paese della Rivoluzione e della Repubblica, della Carta dei diritti dell’Uomo e della Comune di Parigi, l’unico paese europeo in cui valga la pena tenere viva la speranza di democrazia e libertà specialmente dopo la caduta della Repubblica spagnola e nonostante il trattamento riservato dal governo francese ai reduci.
Questa polveriera antifascista allo scoppio della guerra è pronta a combattere i nazisti, a migliaia provano ad arruolarsi, il nipote diretto di Garibaldi, Sante, lancia un appello nell’agosto 1939 per costituire legioni garibaldine da aggregare all’esercito francese.
Il governo Daladier però si illude che, rinunciando al volontarismo antifascista degli esuli italiani, Mussolini mantenga la sua non belligeranza e così pochi internazionali sono aggregati alla Legione Straniera.
Per le migliaia di antifascisti rifugiatisi in Francia il biennio 1939/40 è un susseguirsi di delusioni e sconfitte: la fuga dalla Spagna e i campi di internamento, il patto Molotov-Ribbentrop che – oltre a deludere e demotivare migliaia di militanti – spinge le autorità francesi a sciogliere tutte le organizzazioni comuniste fra cui la Main-d’œuvre immigrée (Moi), il sindacato comunista dedicato ai lavoratori stranieri. Questa però si riorganizza nell’ottobre 1940 e il primo gruppo a rinascere è proprio quello italiano comandato da Marino Mazzetti, il secondo più numeroso dopo quello ebraico.
Dalla fine del 1941, grazie anche a quei pochi antifascisti che sanno combattere, vale a dire i reduci di Spagna, nascono nelle città i Francs-tireurs et partisans – Moi che si concentrano nei sabotaggi e negli attacchi a collaborazionisti e luoghi di ritrovo delle truppe occupanti.
I fratelli Landini
Azioni del genere diventano il pane quotidiano di Roger Landini e del suo fratellino sedicenne Léon. Sono entrambi figli di Aristodemo Landini, fondatore della sezione del PCd’I del suo paese – Roccastrada, in Toscana – costretto a fuggire in Francia nel 1922. Tutti e tre i maschi di casa Landini, a prescindere dall’età, combattono nella resistenza francese e vengono più volte arrestati e torturati, Léon racconterà di avere subito persino l’interrogatorio del boia di Lione in persona, l’SS Klaus Barbie.
Roger è l’autore dei primi attacchi alle truppe italiane d’occupazione vicino Marsiglia di cui si abbia memoria, Léon si rende protagonista di una quarantina di deragliamenti di treni, della preparazione di trecento azioni dinamitarde e della morte di 40 tedeschi.
A Roger, scomparso nel 1962, la cittadina di Saint-Raphaël ha dedicato una via mentre Léon continua ancora oggi la sua attività di presidente di una delle associazioni dei reduci degli Ftp-Moi e la sua testimonianza è stata raccolta, insieme a tante altre, dal progetto di Patrizia Molteni e Antonio Canovi Resistenti, I geni dell’antifascismo. Immagini e parole dei resistenti italiani all’estero.
A sinistra
La testimonianza di Léon Landini
Roger Landini non è l’unico ad avere modificato la toponomastica di Francia.
A Parigi, dal 2013, nell’XI arrondissement esiste una piazza intitolata a un altro italiano: si tratta di un cremonese che faceva il calzolaio, in Francia dall’età di quattordici anni, si chiama Darno Maffini, e nel dopoguerra è stato presidente dell’Association Nationale Les Garibaldines, l’organizzazione degli ex combattenti italiani nella resistenza francese.
Allo scoppio della guerra prova senza successo ad arruolarsi nell’esercito francese, quindi assume un ruolo fondamentale di collegamento fra il Moi, i Garibaldini italiani e i reduci della Spagna. Date le sue conoscenze e il fatto di non essere ricercato in Italia, su richiesta dei comunisti italiani nel marzo del 1943 si reca a Verona a organizzare i primi gruppi partigiani.
Il 9 settembre è nel pieno della battaglia contro i tedeschi per la difesa della città, sconfitto e deportato a Innsbruck in Austria con i suoi compagni, riesce a fuggire e ritornare nel veronese dove fino all’aprile del 1944 combatte con la formazione partigiana autonoma del Colonello Lazzarini. A quel punto Maffini compie il percorso inverso a quello fatto da decine di partigiani italiani che dalla Francia ritornano in quei mesi in Italia:
va in Alta Savoia incaricato di scovare le spie fasciste, ritorna in Italia per condividere le informazioni ottenute ma non può più raggiungere Verona dove le SS stanno decimando il CLN locale, non gli resta che tornare nella sua Parigi, unirsi ai vecchi contatti Garibaldini del suo quartiere – l’XI arrondissement – e combattere contro i nazisti fino alla liberazione di Parigi ad agosto 1944, rimanendo ferito nell’ultimo giorno di scontri.
Fra le diverse nazionalità rappresentate negli Ftp-Moi, gli italiani ebbero il più alto numero di caduti, più di 800, fra gli altri Rino Della Negra, Spartaco Fontanot, Amedeo Usseglio, Cesare Luccarini e Antonio Salvadori, appartenenti al gruppo dei Manouchian e giustiziati nel febbraio 1944 a Mont-Val Rien in una fucilazione diventata celebre: in tutta la Francia comparve lo stesso tetro manifesto rosso, l’Affiche rouge, ennesimo tentativo delle autorità naziste di rappresentare i partigiani come pericolosi terroristi immigrati cui i francesi risposero lasciando fiori sotto i manifesti affissi in ogni angolo del paese.
Le storie di Darno Maffini, e di tanti altri italiani che si sono sacrificati per la liberazione della Francia sono da anni oggetto di ricerche da parte di Eva Pavone negli archivi delle autorità francesi e in quello di Maffini, conservato a Nanterre, che per la sua ricchezza documentaria rappresenta una delle fonti principali per lo studio dei tanti esuli italiani impegnati nella lotta antifascista in Francia.
Fonti
Bibliografia minima
• Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, tesi di dottorato in storia contemporanea presso l’Università degli studi di Firenze, 2014
• AA.VV., La Resistenza francese e la partecipazione degli antifascisti italiani, Atti del convegno organizzato dal Comune di Sesto Fiorentino il 16 marzo 1980, Firenze, Tipografia Nazionale, 1982
• Antonio Bechelloni, Marco Astolfi, Darno Maffini raconte, in La Trace, n. 10 1997, n. 11-12 1999
• Antonio Bechelloni, Italiens dans la Resistance, in La Resistance en Ile-de-France, CD ROM AEREI, 2004
• Gilda Guibert Landini, Le fil rouge, Edizioni Delga, 2016
• Stéphane Courtois, Denis Peschanski, Adam Rayski, Il sangue dello straniero. Storia degli Ftp-Moi: la “manodopera immigrata” dei partigiani francesi, Red Star Press, Roma, 2019
• Vittore Bocchetta, 1940-1945 quinquennio infame, Edizioni Gielle, Verona, 2004
• Selene Barba, La resistenza dei militari italiani all’estero. Francia e Corsica, Ministero della Difesa, Roma 1995