GLI SCIOPERI DELLA PRIMAVERA 1943

Pane, pace, libertà!

Non siamo stati capaci né di prevenire né di reprimere ed abbiamo infranto il principio di autorità del nostro regime. […] Se ti dicono che il movimento ha assunto un aspetto esclusivamente economico, ti dicono una menzogna. […] È eloquente la fioritura dei manifestini stampati alla macchia che danno alle manifestazioni un carattere deliberatamente e preordinatamente antifascista.
Lettera di Roberto Farinacci al duce, 1° aprile 1943

Il 1943 è l’anno della svolta del secondo conflitto mondiale e della storia d’Italia. Lo sbarco alleato in Sicilia, l’arresto di Mussolini e le feste di piazza che ne seguirono sono certamente l’avvio degli eventi che segneranno i due anni successivi. Secondo una narrazione consolidata, la partecipazione popolare si accende per la prima volta a seguito del celebre messaggio radiofonico serale del 25 luglio con cui è annunciata la sostituzione, alla guida del governo, del «Cavalier Benito Mussolini» con il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

L’unico volantino esistente degli scioperi torinesi del marzo 1943
L’unico volantino esistente degli scioperi torinesi del marzo 1943 [Fondazione Istituto Piemontese «Antonio Gramsci», Archivio digitale Polo del ‘900, Fondo Partito comunista italiano. Federazione di Torino, Serie Archivio fotografico. Partito comunista italiano. Federazione provinciale, Torino]

In realtà nei mesi precedenti aveva iniziato a prendere corpo una non più silenziosa opposizione al regime fascista e, tra il marzo e l’aprile 1943, centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici avevano trovato il coraggio e la forza di bloccare, a più riprese, la produzione in decine di fabbriche del nord Italia.

Nonostante gli sforzi della propaganda e della censura del regime, per tutto il corso del 1942 nella società italiana era cresciuta la consapevolezza dell’andamento disastroso della guerra. L’eco delle disfatte che si susseguivano dal nord Africa alle steppe russe giungeva nelle case attraverso i racconti di chi tornava dal fronte e grazie alle notizie diffuse da Radio Londra.

L’enfasi posta dalle forze dell’Asse sulla campagna di Russia, e in particolare sulla conquista di Stalingrado, si è ritorta contro gli invasori. La notizia della disfatta nazifascista sulle rive del Volga e del Don ha rianimato le reti clandestine antifasciste fornendo loro un elemento propagandistico inedito: per la prima volta da quasi un decennio un esercito comunista ha costretto alla ritirata il nazi-fascismo.
Al disastro militare corrisponde un decisivo peggioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici: il costo della vita fra il 1939 e il 1943 arriva quasi a triplicare mentre i salari industriali neanche raddoppiano – ancor meno crescono quelli dei dipendenti statali – a fronte di turni di lavoro che arrivano a sfiorare le dodici ore in stabilimenti militarizzati per le esigenze della produzione bellica.

Operai in sciopero, Torino marzo 1943
Operai in sciopero, Torino marzo 1943 [Fondazione Istituto Piemontese «Antonio Gramsci», Archivio digitale Polo del ‘900, Fondo “Partito comunista italiano. Federazione di Torino”, Serie “Archivio fotografico. Partito comunista italiano. Federazione provinciale, Torino”]
Torino, autunno/inverno 1942, Via Valperga Caluso angolo via Nizza dopo un bombardamento [Fondazione Istituto Piemontese «Antonio Gramsci», Archivio digitale Polo del ‘900, Fondo “Partito comunista italiano. Federazione di Torino”, Serie “Archivio fotografico. Partito comunista italiano. Federazione provinciale, Torino”]
Torino, novembre 1942, la zona di piazza Statuto e corso San Martino dopo un bombardamento aereo [Fondazione Istituto Piemontese «Antonio Gramsci», Archivio digitale Polo del ‘900, Fondo “Partito comunista italiano. Federazione di Torino”, Serie “Archivio fotografico. Partito comunista italiano. Federazione provinciale, Torino”]

Dal 1941 è entrato in vigore il razionamento dei viveri tramite la tessera annonaria, ma già l’anno successivo la quota giornaliera personale di pane è scesa da 200 a 150 grammi, mentre si diffondono speculazione e mercato nero.
In questo scenario disastroso solo il regime sottovaluta il malcontento crescente, nonostante da tempo le prefetture non manchino di sottolineare, nei rapporti inviati al governo, un clima di distacco e malcelata insofferenza.

Fiat, sezione Industrie metallurgiche acciaierie, S.I.M.A., via Cigna 115, incursione aerea 30 novembre 1942 [Archivio storico Città di Torino]
Officine Westinghouse, via P. Carlo Boggio, incursione aerea 20 novembre 1942 [Archivio di Stato di Torino]

Nel maggio 1942 protestano i lavoratori del distretto carbonifero sardo del Sulcis per le dure condizioni di vita e lavoro cui sono sottoposti. Il 26 dello stesso mese scendono in piazza le donne del quartiere operaio di Sesto San Giovanni a Milano, reclamando un freno ai prezzi e la distribuzione di generi alimentari.
I rapporti di polizia informano di discussioni e capannelli che nascono spontanei in numerose fabbriche

in cui si ripetono interruzioni, piccoli sabotaggi e blocchi spontanei della produzione, anche se di poche decine di minuti. Non si parla ancora di sciopero e non si intravede una strategia coordinata a livello nazionale ma è evidente che il clima, specie nelle fabbriche, è sempre più teso.
Il già difficile scenario è reso ancor più tragico dai bombardamenti alleati, ripresi con maggiore intensità dalla fine del 1942 su tutto il paese e in particolare sulle aree industriali del Nord.

A Torino dall’ottobre 1942 al febbraio 1943 sono quasi settecento i morti sotto le bombe inglesi, più di 2.000 le case distrutte oltre a ospedali, infrastrutture idriche ed elettriche e numerosi stabilimenti industriali. Alla fine del 1942 più di un terzo degli abitanti della città è sfollato nelle campagne limitrofe.
A Milano, dopo un biennio di relativa calma, nell’ottobre 1942 una sola incursione aerea causa 135 morti e quasi il doppio sono le vittime dell’incursione del febbraio successivo che causa incendi protratti per giorni e la fuga di più di diecimila abitanti. Nell’estate 1943 a Milano si contano più di 230.000 persone senza casa.

Stabilimento Lancia, particolare della centrale termina, incursione 4 febbraio 1943
Stabilimento Lancia, particolare della centrale termina, incursione 4 febbraio 1943 [Archivio di Stato di Torino]

L’incapacità dei dirigenti di fabbrica e delle forze repressive del regime (Ovra, Milizia volontaria per sicurezza nazionale, polizia ed esercito) di comprendere la situazione è ben rappresentata dalla concessione, ai soli operai sfollati fuori città, di un aumento salariale pari a 192 ore di lavoro mensile. L’estensione di questo aumento a tutti, anche agli operai rimasti con le famiglie in città sotto le bombe, diventa la richiesta degli operai della Fiat a Mirafiori e di altre fabbriche torinesi e lombarde.

L’andamento disastroso della guerra accelera la disgregazione del consenso intorno al regime, come speravano le forze antifasciste e in particolare i comunisti, gli unici ad avere faticosamente mantenuto una rete clandestina nei quartieri operai e nelle fabbriche.

A Torino il partito ha inviato Umberto Massola a tenere le fila dell’attivismo clandestino, azione che condurrà, fra gli altri, con Amerigo Clocchiatti e Leo Lanfranco, quest’ultimo animatore della cellula comunista a Mirafiori. Tra Torino e Milano, e specialmente nel capoluogo milanese, opera Giuseppe Gaeta che, insieme a Pietro Francini, Felice Cassani e tanti altri militanti, ha ripreso la stampa di giornali e fogli clandestini come “l’Unità”, “Il grido di Spartaco”, “Il quaderno del lavoratore”, fino al 1941 realizzati all’estero e introdotti clandestinamente nel paese. La possibilità di diffondere questo materiale è decisiva: corrono così le notizie delle vittorie sovietiche e delle sconfitte italiane ma soprattutto l’eco della lotta in una fabbrica può raggiungere altri lavoratori, come accade con il trionfale, ed esagerato, titolo de “l’Unità” del 15 marzo 1943.

Prima pagina de “l’Unità” stampata clandestinamente a Milano per il 15 marzo 1943
Prima pagina de “l’Unità” stampata clandestinamente a Milano per il 15 marzo 1943

Se da un lato non possiamo aspettarci di trovare notizie delle proteste sulla stampa controllata dal regime, dall’altro scontiamo l’assenza negli archivi di una fonte imprescindibile, vale a dire i rapporti ufficiali delle forze di sicurezza sull’ordine pubblico. Questi furono con ogni probabilità estrapolati e raccolti in un unico fascicolo andato perduto nell’estate 1943.
Sono però giunti fino a noi i telegrammi scambiati in quelle ore tra il capo della polizia Carmine Senise e i questori e i dirigenti delle forze dell’ordine locali, fra cui il Prefetto di Torino Palacio Di Suni, oltre alla corrispondenza prodotta dai sindacalisti fascisti e alle tante memorie dei protagonisti di quelle proteste.

Veduta dall’alto dello stabilimento Fiat del Lingotto
Veduta dall’alto dello stabilimento Fiat del Lingotto [Archivio storico Fiat]

Sappiamo così che la cellula comunista della più celebre fabbrica d’Italia, lo stabilimento Fiat Mirafiori a Torino, ha organizzato l’inizio dello sciopero per le dieci del mattino di venerdì 5 marzo ma l’azione si riduce a una protesta locale (che comporta un arresto) e non sfocia nel blocco della produzione.
La scommessa però riesce, la sola notizia di una protesta a Mirafiori basta a innescare la miccia.
Nello stesso giorno negli stabilimenti Rasetti di corso Ciriè si ferma circa la metà degli 800 operai e dieci sono arrestati.

Il giorno dopo, sabato 6, protestano 450 operai della fabbrica Microtecnica fino all’arresto di cinque di loro. Altri blocchi sono stati pianificati senza successo alla Grandi Motori e agli stabilimenti dell’Aeronautica.
Le forze dell’ordine dubitano che le proteste possano superare il fine settimana ma intanto la città si riempie di volantini che invitano le donne e i lavoratori a manifestare in piazza Castello lunedì 8 marzo.

Officine del Lingotto bombardate [Archivio storico Fiat]
Operai riparano i danni dei bombardamenti allo stabilimento Fiat di Mirafiori [Archivio storico Fiat]

Della manifestazione non abbiamo prove certe ma ciò che avviene quel lunedì è considerato il primo salto di qualità della lotta antifascista: la produzione è ferma in otto grandi stabilimenti – tra cui diversi reparti Fiat – e tra il 10 e il 12 lo sciopero si allarga a quasi tutte le industrie della città. Tra il 15 e il 16 marzo si fermano per la seconda volta gli operai degli stabilimenti Fiat del Lingotto e Mirafiori e per l’intera settimana la produzione industriale bellica a Torino è quasi paralizzata.
A metà mese, quando lo slancio sembra esaurirsi, la protesta si allarga alle aziende della cintura industriale periferica torinese, tra cui gli stabilimenti Fiat di Villar Perosa, residenza della famiglia Agnelli, e ad altre aree industriali della regione come quelle intorno Biella, Asti, Pinerolo, Vercelli.
La diffusione della celebre prima pagina de “l’Unità” e l’accento posto dai comunisti sui modesti – se confrontati con i fatti avvenuti in altre fabbriche – fatti di Mirafiori del 5 marzo contribuiscono a scatenare la prima ondata di proteste antifasciste su scala non più locale.

Il 19 marzo un volantino comunista invita gli operai milanesi a seguire l’esempio di Torino.
All’ora di pranzo del 22 marzo si fermano le operaie e gli operai del reparto bulloneria della Falck Concordia di Milano, pretendendo 25 lire di aumento e riuscendo persino a cacciare i dirigenti fascisti del partito e della polizia mandati a reprimere la prima protesta milanese. Dal 25 fino alla fine del mese si fermano a più riprese gli stabilimenti Breda, Pirelli, Ercole Marelli, Broggi, Magneti Marelli, Magnaghi, Isotta Fraschini, Face, Caproni e tanti altri. Di fatto la produzione industriale dell’area di Sesto San Giovanni risulta bloccata. Numerosi sono gli episodi di duri scontri con gerarchi e dirigenti dei sindacati fascisti, come al Cotonificio Dell’Acqua dove l’auto del segretario generale dei sindacati, Tullio Cianetti, è presa a sassate dalle operaie.

Supplemento n.1 del giornale clandestino del Partito d’Azione, «Italia libera», del marzo 1943
Supplemento n.1 del giornale clandestino del Partito d’Azione, «Italia libera», del marzo 1943

Mentre ai primi di aprile la protesta giunge in alcune fabbriche di Reggio Emilia e Bologna, nei capoluoghi lombardo e piemontese scatta la repressione.
A Milano fra i tanti arresti c’è quello di Giuseppe Gaeta, l’organizzatore della rete comunista in città, e tanti sono i casi di militanti che, liberati a seguito dei fatti di luglio, troveranno poi la morte nei mesi dell’occupazione nazista – fra questi Gina Galeotti Bianchi uccisa nei giorni dell’insurrezione sulla strada per l’ospedale dove si stava recando per assistere i compagni feriti.

Mentre fioccano gli arresti – sono più di 800 gli incarcerati e processati dal Tribunale speciale – il regime è costretto a concedere significativi aumenti salariali, anticipati dalle concessioni fatte dalla dirigenza della Fiat, e la tanto richiesta estensione delle 192 ore di retribuzione anche agli operai non sfollati fuori città.
Mussolini tuona contro i suoi sottoposti, minaccia decimazioni e repressioni sanguinarie ma non adotta alcun provvedimento del genere. Ad aprile sostituisce il capo del Partito, Carlo Scorza, con Aldo Vidussoni e il capo della Polizia Senise con Lorenzo Chierici.

Adesso dichiaro nella maniera più esplicita che non darò neppure un centesimo. Noi non siamo lo Stato liberale che si fa ricattare da una fermata di un’ora di lavoro in un’officina. Considero questo come un tradimento vero e proprio.
Benito Mussolini, estratto dal discorso al Direttorio del Partito Nazionale Fascista, 10 marzo 1943.

Il duce si illude circa il carattere prettamente economico delle proteste e invita il sindacato fascista a interessarsi maggiormente della condizione operaia ma in seguito riconosce il rilievo politico di quelli che l’Aiutante di campo del re, Paolo Puntoni, definisce a ragione moti operai.
Quello che il regime si rifiuta di vedere è il primo grande NO che le masse popolari hanno avuto il coraggio di opporre al fascismo e alla guerra: in un mese di proteste 100.000 operai e operaie hanno incrociato le braccia, il doppio secondo la stampa clandestina, fra di essi numerosi lavoratori filofascisti e persino rappresentanti del sindacato unico fascista.

Il regime appare sempre più indebolito e questa consapevolezza comincia a insinuarsi nelle menti di alcuni gerarchi ed esponenti della corte che sperano, in luglio, di risolvere la crisi sbarazzandosi di Mussolini.
Il segnale lanciato dagli scioperi di marzo è tragicamente colto anche dagli strateghi alleati che puntano sui bombardamenti a tappeto delle grandi città, non solo del Nord, per fiaccare definitivamente il morale dei cittadini e il consenso al fascismo in vista dello sbarco in Sicilia.
I fatti di marzo e aprile, innescati dal coraggio e dal sacrificio di chi ha condotto l’attività clandestina nelle fabbriche, sono il primo vero punto di non ritorno del regime fascista che, da quei mesi in avanti, vedrà sbriciolarsi il consenso nella società fino alla disgregazione totale del suo stesso apparato dirigente.

Fiat Grandi Motori, via Cuneo, rifugio antiaereo in galleria, 1941
Fiat Grandi Motori, via Cuneo, rifugio antiaereo in galleria, 1941 [Archivio di Stato di Torino]

Per approfondire il ruolo e le vicende relative alla stampa clandestina di volantini, giornali e opuscoli antifascisti si segnala la mostra Fogli di libertà. Stampa e Resistenza 1943-1945 inaugurata il 1° marzo 2023 e visitabile fino al 21, dalle 10 alle 17,30, presso la Casa della Memoria di Milano – via Federico Confalonieri 14, Milano M5 Isola – M2 Gioia/Garibaldi –, curata dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e dalla Fondazione Isec in collaborazione con Comune di Milano-Casa della memoria.

Fiat Aeronautica, incursione aerea 9 dicembre 1942
Fiat Aeronautica, incursione aerea 9 dicembre 1942 [Archivio storico Città di Torino]

Per la storia delle mobilitazione operaie durante il fascismo si segnalano due progetti realizzati dall’Istituto Torinese per la storia della Resistenza e della società contemporanea Giorgio Agosti: la Banca dati sugli scioperi realizzata in collaborazione con l’ANPI e la Fondazione Di Vittorio e il portale Torino 1938-45, luoghi della memoria. La città delle fabbriche.

Fonti

Bibliografia minima:
• Giorgio Vaccarino, Problemi della Resistenza italiana, Stem Mucchi, Modena 1966.
• Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. IV, Einaudi, Torino 1973
• Umberto Massola, Gli scioperi del ’43. Le fabbriche contro il fascismo, Editori Riuniti, Roma 1973.
• Roberto Finzi, L’unità operaia contro il fascismo. Gli scioperi del marzo ’43, Consorzio provinciale di pubblica lettura, Bologna 1974.
• Claudio Dellavalle, La classe operaia piemontese nella guerra di Liberazione, in Aldo Agosti, Gian Mario Bravo, a cura di, Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, vol. III, De Donato, Bari 1980.
• Gianni Alasia, Giancarlo Carcano, Mario Giovana, Un giorno del ’43. La classe operaia sciopera, Gruppo Editoriale Piemonte, Torino 1983.
• Tim Mason, Gli scioperi di Torino del marzo 1943, in Francesca Ferrantini Tosi, Gaetano Grassi, Massimo Legnani, a cura di, L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Franco Angeli, Milano 1988.
• Claudio Dellavalle, Gli operai contro la guerra, in Valerio Castronovo, a cura di, Storia illustrata di Torino, vol. VII, Sellino, Milano 1993.
• Fondazione Isec, Gli scioperi del marzo 1943.
• Claudio Dellavalle, a cura di, Operai fabbrica, Resistenza. Conflitto e potere nel triangolo industriale (1943-1945), Annali della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, vol. 15, Futura Editrice 2017.

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