8 MARZO

La voce delle donne tra esperienza vissuta e silenzi collettivi

Per l’8 marzo non potevamo organizzare una festa perché eravamo ormai troppo deboli e affamate, quindi decidemmo di tenere una conferenza. [...] Ma anche una semplice conferenza non era tanto facile da preparare. Anzitutto, chi doveva parlare? E cosa avrebbe detto?
Teresa Noce, "Rivoluzionaria professionale"

L’8 marzo qui evocato è quello del 1945 e il luogo dove, affamate e deboli, Teresa Noce insieme ad altre donne pensa alla Giornata internazionale della donna è il campo di concentramento di Ravensbrück: «l’unico lager esclusivamente femminile dell’universo concentrazionario, [costruito] su dune sabbiose circondate da foreste di betulle e conifere» a 80 chilometri a nord di Berlino.

Ravensbrück
Ravensbrück, ex edificio della Kommandantur, oggi ospita la mostra storica sul lager

Pensare all’8 marzo attraverso il ricordo di Noce significa non solo tracciare un filo rosso tra le date del calendario civile, ma anche fare spazio a una storia, quella della deportazione femminile italiana, che ha sempre agito nell’ombra degli stereotipi prodotti dalla memoria collettiva per guardare al passato.

È noto che nella biografia di Noce si intrecciano tante storie – quella dell’antifascismo, del Partito comunista, dell’emmigrazione politica e della Resistenza, della deportazione, della Costituente –, ma qui basta ricordarla come autrice di …ma domani farà giorno, romanzo autobiografico che, uscito nel 1952 per Cultura nuova, rompe un doppio silenzio. Il primo, quello generale, caduto alla fine degli anni quaranta sulle storie che testimoniano dei Lager e quello particolare, imposto da sempre alla storia delle deportate politiche italiane.

Teresa Noce
Teresa Noce

Nell’immediato dopoguerra sono certo scarse l’attenzione e la disponibilità di ascolto per le storie che vengono dai Lager. Tuttavia i libri pubblicati prima del totale silenzio che va dal 1949 al 1952 (11 dopo l’aprile 1945, 14 nel 1946, 4 nel 1947 e 1 nel 1948), se letti nella scia della voce delle donne, ci permettono due osservazioni. Innanzi tutto, nell’immediatissimo dopoguerra, quando il simbolo della deportazione è quello del deportato

politico e Mauthausen è il campo intorno a cui si costruisce l’immaginario collettivo, il cono d’ombra che inevitabilmente va creandosi sulla deportazione razziale è rotto proprio dalla donne che sono state le prime a raccontare Auschwitz all’Italia, prima anche di Se questo è un uomo. In secondo luogo, resta completamente soffocata nel silenzio la voce delle italiane deportate come politiche: la voce delle donne di Ravensbrück.

Gli autori
Le autrici dei libri che per primi raccontarono all’Italia i lager: Frida Misul, "Negli artigli del mostro nazista" (Livorno 1946), Luciana Nissim e Pelagia Lewinska, "Donne contro il mostro" (Ramella, Torino 1946), Giuliana Tedeschi, "Questo povero corpo" (Edit, Milano, 1946), Alba Valech Capozzi, "A 24029" (Soc. An Poligrafica, Siena 1946), Liana Millu, "Il fumo di Birkenau" (La Prora, Milano 1947) a cui si aggiunge Sofia Schafranov la cui storia è raccolta dal cognato Alberto Cavaliere che la pubblica in A. Cavaliere, "I campi della morte in Germania nel racconto di una sopravvissuta" (Sonzogno, Milano 1945)

I primi sei libri dedicati ad Auschwitz, in cui sette donne raccontano, insegnano però anche che la divisione del mondo in categorie è propria del nazifascismo mentre la vita è sempre intreccio e naturalmente contraria all’ideologia della purezza sottintesa a ogni operazione di categorizzazione dell’esperienza, che porta alla separazione di chi deve essere deportato in gruppi distinti. Riprendiamo Donne contro il mostro, dove Luciana Nissim, catturata perché partigiana e deportata come “ebrea”, pubblica il suo La casa dei morti insieme ai ricordi della polacca Pelagia Lewinska. E quell’esigenza di «una civiltà nuova che alla lotta disperata per la vita sostituisca la solidarietà nella vita», di cui nella prefazione al libro scrive Camilla Ravera, considerandola l’eredità della diretta esperienza delle donne vissuta in Lager, porta nel cuore dell’8 marzo e del racconto di Teresa Noce.

Donne contro il mostro
"Donne contro il mostro", Luciana Nissim, Pelagia Lewinska; prefazione di Camilla Ravera - 1946.

Da una parte, proprio Camilla Ravera nel 1921, dopo la scissione di Livorno e la nascita del Partito comunista d’Italia, aveva sostenuto con determinazione l’organizzazione della prima celebrazione veramente sentita in Italia della Giornata internazionale della donna. Questa era stata ideata all’interno della Conferenza internazionale delle donne socialiste del 1910, ma considerata dalle socialiste italiane di impronta troppo borghese.

Per le donne del PCdI appena nato, la Giornata doveva invece diventare occasione di riflessione e rivendicazione di diritti delle donne, in primis il voto. Se storicamente resta difficile ricostruire l’episodio che determina la scelta della data dell’8 marzo, è chiaro che per le donne italiane è giornata da sempre legata alla volontà di agire per un nuovo modo di essere dentro la società, attivo e determinante: non a caso il fascismo vieterà questa celebrazione e sarà particolarmente sentita quella del 1947 dedicata alle 21 donne elette nell’Assemblea costituente.

Enrico De Nicola con alcune donne elette nell'Assemblea Costituente
Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, con alcune donne elette nell'Assemblea Costituente

Dall’altra Teresa Noce ci racconta che, incaricata dalle compagne di tenere la conferenza, consapevole dell’eterogeneità delle storie delle donne detenute a Ravensbrück, si oppone all’idea di una conferenza fatta solo per le sue compagne di lotta e di partito:

[...] bisognava dire cose che non interessassero solo una minoranza, ma gran parte delle donne di tutto il campo. Tra di noi, oltre alle comuniste e alle socialiste, vi erano anche cattoliche ed ebree; vi erano operaie che conoscevano la lotta di classe, ma anche contadine e proprietarie di terre; vi erano impiegate, funzionarie dello Stato, ma vi erano anche capitaliste come la signora Michelin (fabbrica di pneumatici) e figlie di poliziotti come la polacca. [..] se volevamo fare una conferenza per l’8 marzo, questa doveva interessare tutte le deportate, fossero o no politiche. Era giusto parlare delle donne di tutti o almeno di molti paesi [...] vi erano state eroine polacche, inglesi, russe, spagnole, italiane, ebree, americane. Dovevamo ricordare non solo le comuniste o le resistenti, ma anche le patriote di tutti i secoli, quelle donne che ovunque avevano lottato, in un modo o nell’altro, per il progresso e la libertà.

La storia delle donne si racconta nell’intreccio delle storie diverse per riprendere il filo di una lotta che attraversa i secoli e impone un pensiero che crea una rete, perché, come diceva Giuliana Tedeschi, «le donne sono maglie, se una si perde, si perdono tutte. Là dentro almeno era così». E tale considerazione le veniva dalla sua esperienza di Birkenau di cui aveva scritto appena ritornata, ponendo il tema del corpo come centrale nella lettura dell’esperienza concentrazionaria.
Non si tratta di ritornare a leggere la storia delle donne sotto il facile cappello della presunta solidarietà femminile, ma piuttosto di sottolineare la volontà di immaginare, trovare, costruire le forme per raccontare al plurale la propria storia.

Birkenau
Birkenau, inverno 1943-1944. Vista parziale del settore BII. In primo piano due baracche della quarantena per uomini [Archivio del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau]

Basti pensare a Liana Millu, catturata partigiana e deportata perché ebrea, che nel suo Il fumo di Birkenau forza l’idea di autobiografia fino a farla diventare una storia in cui conoscere il soggetto narrante significa ascoltare le storie delle altre donne di cui racconta. E nella stessa direzione si muove proprio Noce quando sottolinea il bisogno delle altre per costruire la conferenza da tenere l’8 marzo.

Il fumo di Birkenau
"Il fumo di Birkenau" Liana Millu, 1947
cominciai a rivolgere la parola a molte deportate con cui, fino ad allora, avevo avuto scarsi rapporti, come la signora Michelin che si trovava al campo, pare, per una questione di valuta concernente prodotti venduti ai tedeschi. Con prudenza, dissi a queste deportate che noi compagne volevamo commemorare l’8 marzo, la giornata internazionale delle donne di tutto il mondo, parlando proprio di quello che le donne di tutto il mondo avevano fatto nei secoli. [...] Trovai più aiuto di quanto avessi sperato. Tutte volevano dirmi qualche cosa, [...] e con più apertura mentale e meno conformismo di quanto mi attendessi.

Ritrovare la propria storia significa innanzitutto ascoltare le storie delle altre facendole proprie, costruire la propria identità a partire dall’ascolto del diverso da sé.

Tenemmo la conferenza la sera dell’8 marzo 1945, appena suonato il silenzio ed uscite le kapò. Salii sul giaciglio più alto di un castello posto in mezzo al blocco, mentre le deportate si affollavano sugli altri pagliericci, Parlai a lungo [...] Parlai dell’esempio, tramandatoci nei secoli [...] parlai delle sante e delle schiave, delle operaie e delle contadine, delle intellettuali e delle scienziate, delle analfabete e delle artiste... Continuai a parlare finché caddi stremata sul giaciglio che mi aveva ospitata.

Il soggetto si scopre attraversato da molteplici storie e la soggettività si impone come capacità di ritrovarle dentro di sé per farle diventare una consapevolezza condivisa da tutte.
Si tratta non di un ragionamento teorico, ma di una pratica, di un modo di pensare e di essere, che ha le sue radici nell’esperienza vissuta insieme alle compagne in Lager. A Noce di osservare:

La permanenza al campo, la lezione delle sofferenze sopportate in comune, forse non erano state inutili. Poteva anche essere che, appena libere, quelle donne tornassero a vivere come prima, ma era molto più probabile, in ognuna, qualche cambiamento.

Nel 1960 grazie a uno sforzo economico importante dell’Associazione nazionale ex deportati (Aned) è pubblicato Donne e bambini nei Lager nazisti, a cura di G. Bellak e G. Melodia, per anni il solo libro a raccogliere una testimonianza collettiva delle deportate italiane. Poi nel 1978 Le donne di Ravensbrück, a cura di Lidia Rolfi e Anna Bruzzone, rompe finalmente il silenzio:

con chiarezza si racconta la storia della deportazione politica femminile e si impone la consapevolezza del lavoro schiavo come l’offesa più grande portata dalla esistenza dell’universo concentrazionario nel cuore dell’Europa del XX secolo. E proprio la dignità del lavoro come emancipazione della collettività diventerà sfondo per le tante lotte che nell’8 marzo dell’Italia repubblicana si rispecchiano.

Dal silenzio in cui la deportazione politica femminile è stata relegata per lungo tempo in Italia, le sopravvissute hanno osservato il paese, non rinunciando a viverlo e a cambiarlo, ma con la sensibilità propria di chi conosce le zone d’ombra, i margini, gli interstizi da cui le affermazioni di principio risultano troppo spesso castelli di carta: «mai più credevo che avrei dimenticato e poi ho dimenticato”.

I dati dei libri pubblicati sono tratti dalla mostra realizzata da Isrec, in occasione del 27 gennaio 2016, “E tutto questo diventa una storia”. I primi libri che in Italia hanno raccontato i Lager, a cura di E. Ruffini. C’è una discrepanza tra i dati forniti da M. Consonni, L’eclissi dell’antifascismo. Resistenza, questione ebraica e cultura (Laterza, Bari 2015) dovuti al periodo preso in esame. Poiché le case editrice coinvolte possono anche essere molto piccole, le nuove ricerche potranno portare ulteriori variazioni.

Le letture dei testi che avete ascoltato sono tratte dal sito www.memoriacultura.it, realizzato da Fondazione Memoria della Deportazione Isrec (collaborazione di Radio Popolare e Collettivo Progetto Antigone) in occasione del centenario di G. Maris. Le letture qui riproposta sono state realizzate il 5 maggio 2021 all’interno del progetto di lettura diffusa Una tensione durata tutta una vita, a cura di E. Ruffini e realizzato grazie alla collaborazione delle attrici del collettivo Progetto Antigone. In particolare qui avete ascoltato per Teresa Noce la voce di Patrizia Romeo alle Fosse Ardeatine, per Lidia Rolfi Beccaria, la prima volta, la voce di Caterina Valente ad Alberobello, la seconda volta, di Patrizia Camatel a Torino, per Maria Montuoro la voce di Simona Malato.

Fonti

Bibiografia minima:
• L. Beccaria Rolfi, L’esile filo della memoria, Einaudi, Torino 2021.
• L. Beccaria Rolfi e A. M. Bruzzone, Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Einaudi, Torino 2020 (1978).
• T. Noce, Ma domani farà giorno, Harpo, Roma 2019 (1952).
• A. Portelli (a cura di), Il calendario civile, Donzelli, Roma, 2017.
• T. Noce, Rivoluzionaria professionale, Red Star Press, Roma, 2016 (1974).
• E. Ruffini, Il ritorno, Il filo di Arianna, 2015.
• L. Monaco (a cura di), La deportazione femminile nei lager nazisti, Aned-Franco Angeli, Milano 1995. Raccoglie gli atti del primo convegno sulla deportazione delle donne tenutosi nel 1994, oggi è disponibile in pdf all’indirizzo: https://deportati.it/biblioteca/la-deportazione-femminile-nei-lager-nazisti/
• G.Bellak e G. Melodia (a cura di), Donne e bambini nei Lager nazisti, Aned, Milano 1960.
• L. Nissim e P. Lewinska, Donne contro il mostro, Ramella, Torino 1946.

Il testo di M. Montuoro è, a quanto ci risulta inedito, ed è stato gentilmente concesso dagli eredi delle sorelle Baroncini a cui Maria l’aveva regalato.

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