Si tratta di persone che hanno combattuto attraverso la lotta politica e armata, ma anche tramite l’attività scientifica (ingegneri, medici) e strategica (spionaggio, intelligence). In questo senso la «militanza» antinazista degli ebrei nel mondo non si esprime come la reazione di un gruppo etnico o religioso, bensì come la rivolta di cittadini (italiani, francesi, tedeschi, e molti altri) privati dei loro diritti, «denazionalizzati» dapprima dalle Leggi di Norimberga e, successivamente, «deumanizzati» dalla Soluzione finale.
La resistenza degli ebrei emerge nei villaggi, nei ghetti, nei campi di concentramento, ma anche nei luoghi di lavoro. In Polonia, ad esempio, vengono organizzati gruppi di resistenza clandestina come quello del ghetto di Varsavia. Alcuni tra i pochi sopravvissuti dei ghetti riescono persino a unirsi alle squadre partigiane nascoste nelle foreste. Non solo, ma la resistenza degli ebrei è anche scientifica.
I razzi Katyusha che i sovietici lanciano contro i tedeschi vengono sviluppati da ingegneri ebrei al servizio dell’Armata Rossa. Semyon Lavochkin, ingegnere ebreo, progetta il caccia sovietico Lavochkin (La-5). Tra i progettisti del carro armato T-34 – simbolo dell’ingresso dei sovietici a Berlino nel 1945 – compaiono diversi ingegneri ebrei tra cui Yaakov Vikhman e Yaakov Nevyzhesky. Molti soldati sovietici sono ebrei e il loro valore viene riconosciuto ufficialmente con medaglie e decorazioni.
Negli Stati Uniti, nonostante l’innegabile presenza dell’antisemitismo in diverse parti del paese, gli ebrei uniscono le forze con i vertici del filobritannico WASP (White Anglo-Saxon Protestant) allo scopo di sostenere il presidente Franklin Delano Roosevelt in ottica antitedesca (schierandosi dalla parte dei britannici e dei sovietici). A partire dagli anni Trenta l’aiuto reciproco tra la comunità ebraica e Roosevelt risulta notevole e talora determinante. Il termine New Deal, ad esempio, viene coniato da Samuel Rosenman già all’epoca (come si direbbe oggi) ghost writer del presidente democratico, mentre il giurista Benjamin V. Cohen cura molti aspetti legislativi di quel programma. Ecco perché gli avversari di Roosevelt (e degli ebrei) lo definiscono Jew Deal.
Nell’ambito della propaganda antinazista, la regia ebraica – è proprio il caso di dirlo – che dirige l’offensiva cinematografica americana prima e durante la guerra risulta fondamentale. Una pellicola come Confessions of a Nazi Spy, ad esempio, attacca Hitler insistendo sulla possibilità di una redenzione dei tedeschi dal nazismo. Il maggiore esempio in tempo di guerra è forse Casablanca (1942), diretto da Michael Curtiz e scritto da Julius e Philip Epstein e Howard Koch (tutti ebrei).
A sinistra, clip dal film
“Confessioni di una spia nazista”
(“Confessions of a Nazi Spy”)
di Anatole Litvak (1939)
Durante la Seconda guerra mondiale, oltre 600.000 ebrei prestano servizio nell’esercito americano. Sono i cosiddetti GI Jews. Il luogotenente Raymond Zussman (ebreo americano) riceve la medaglia d’onore per aver catturato 92 soldati tedeschi e averne uccisi 18 nel corso di una battaglia nei pressi di Norroy-le-Bourg, in Francia, nel settembre del 1944. Nello stesso mese, però, Zussman muore sul campo.
In Gran Bretagna (così come negli Stati Uniti e in Unione Sovietica) gli ebrei diventano alcuni tra i migliori agenti di spionaggio e intelligence. Tra questi spiccano i nomi (e le storie) di Adam “Arnaud” Rabinovich, Isidore “Julien” (o “Pepe”) Newman e Maurice “Martin Perkins” (o “Eugene”) Pertschuck. Tutti impiegati nel SOE (Special Operations Executive) britannico, incontrano la morte dopo aver contribuito alla resistenza. Rabinovich viene ucciso dalla Gestapo, Newman muore nel campo di Mauthausen e Pertschuck in quello di Buchenwald. Si tratta solo di alcuni tra le centinaia di ebrei i quali (e le quali), arruolati nel SOE, combattono i nazisti nei territori occupati, soprattutto in Francia e in Polonia.
In Germania, a partire dal 1933 (appena Hitler sale al potere), i medici non ariani (dunque anche gli ebrei) perdono il diritto di esercitare la professione medica. Nonostante l’inarrestabile escalation della persecuzione nel corso della guerra, molti medici ebrei continuano a servire la loro comunità, in particolare fronteggiando epidemie letali come la tubercolosi e il tifo. La loro attività, condotta sopra ogni forza fisica e mentale, contribuisce ad arginare la diffusione di cataclismi sanitari senza precedenti. Sul piano politico la resistenza degli ebrei tedeschi si concentra negli ambienti culturali berlinesi, grazie all’attivismo di molti giovani intellettuali che contribuiscono a creare e rafforzare nuovi metodi di resistenza clandestina nel contesto più ampio dell’antinazismo, in particolare di matrice comunista e socialista.
Uno dei gruppi più influenti è quello di Herbert Baum, guidato da membri del Partito Comunista di Germania (Kommunistische Partei Deutschlands, KPD). La figura di Baum è sicuramente la più importante: nasce a Mosina (in tedesco Moschin), un villaggio vicino a Poznań, nel 1912 e diventa presto il leader di un gruppo di resistenza formato da giovani ebrei nell’orbita della Lega della Gioventù Comunista di Germania (Kommunistischer Jugendverband Deutschlands).
Altre straordinarie storie di resistenza ebraica emergono dai territori progressivamente occupati dalla Wehrmacht. Alla fine del febbraio 1941, ad esempio, un gruppo armato di ebrei si scontra con una milizia nazista ad Amsterdam. La reazione tedesca è violenta e scatena lo sciopero di portuali, tranvieri, autisti e molti altri lavoratori. La protesta si protrae per alcuni giorni e si esaurisce in una spietata deportazione di diverse centinaia di ebrei nei campi di concentramento da cui solo due persone tornano vive.
In Norvegia, nonostante l’esiguità della popolazione, i numeri della persecuzione ebraica sono impietosi. Di 772 ebrei deportati dalla Norvegia, solo 32 sopravvivono. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale gli ebrei presenti in Norvegia sono circa 2.100, ma a partire dal 1942 si scatenano gli arresti di massa e le deportazioni.
Coloro i quali non riescono a fuggire vengono inghiottiti dalla macchina dello sterminio nazista, coadiuvata dal governo-fantoccio di Vidkun Quisling. Basti pensare che 532 dei 772 deportati vengono condotti ad Auschwitz. Anche in questo caso, però, non mancano esempi di resistenza attiva agli occupanti tedeschi e ai loro fiancheggiatori locali. Il 6 ottobre 1942, a Trondheim, scoppiò una rivolta anti tedesca. Le autorità locali – cooptate dalle forze di occupazione – reprimono la protesta e un gruppo di dieci uomini (alla stregua di vittime sacrificali) viene giustiziato senza processo. Tra le vittime (sonofre i Trøndelag) spicca Hirsch Zvi Komissar, un uomo d’affari norvegese di origine bielorussa già noto alla Gestapo per il suo attivismo sionista e antinazista.
Nel 1942 l’attore teatrale e mimo francese Marcel Marceau si unisce alla resistenza. Nato Marcel Mangel in una famiglia di origine ebraica, l’attore viene deportato dai nazisti ma riesce a sopravvivere. Marceau è un combattente che utilizza e affina le proprie qualità artistiche adattandole alla causa antinazista. Le sue doti, come viene raccontato in un recente film scritto e diretto da Jonathan Jakubowicz, gli consentono di salvare moltissimi bambini ebrei dalla deportazione. In questo senso la Francia costituisce l’ambiente ideale per rafforzare i legami tra la resistenza, l’antinazismo e le comunità ebraiche.
Il canto della resistenza francese (Chant des Partisans), ad esempio, viene scritto da Joseph Kessel, un romanziere di origine ebraica. Uno dei romanzi clandestini più diffusi durante l’occupazione in Francia nasce dalla penna di Jean Bruller, un ebreo ungherese trapiantato in Francia. Il suo romanzo, La Silence de la mer, infatti, narra la storia di una giovane donna francese che rifiuta le avances di un giovane ufficiale tedesco. Oltre alle diecimila copie stampate clandestinamente, la Royal Air Force ne stampa altre che vengono lanciate a scopo propagandistico per ispirare i partigiani.
Nel 1942 un commando di militari partigiani cecoslovacchi (benchè non ebrei) attenta alla vita di Reinhard Heydrich, uno tra i maggiori pianificatori della Soluzione finale. L’operazione, condotta con il supporto delle forze inglesi tramite il SOE, ha successo poiché Heydrich muore in seguito alle ferite riportate nell’agguato. Purtroppo, però, i principali artefici dell’attentato, Josef Gabčík e Jan Kubiš, traditi da un compagno, vengono intercettati dai nazisti.
Entrambi perdono la vita in battaglia mentre i tedeschi scatenano una violenta rappresaglia in seguito al decesso di Heydrich. Ne fanno le spese il villaggio di Lidice e tutti i suoi abitanti. La cittadina viene completamente rasa al suolo, gli uomini a partire dai sedici anni di età vengono fucilati e le donne vengono trasferite nei campi di concentramento. I loro bambini, rimasti soli, vengono affidati a diverse famiglie tedesche. Oggi, nell’area dove sorgeva il vecchio villaggio, esiste un memoriale in ricordo della strage.
Fonti
Bibliografia minima:
• Martin Sugarman, Two Jewish heroins of the SOE, «Jewish historical studies», Vol.35 (1996), pp. 309-328.
• John Cox, Circles of resistance: Jewish, leftist, and youth dissidence in Nazi Germany, Peter Lang, New York, 2009.
• Benjamin Ginsberg, How the Jews defeated Hitler. Exploding the Myth of Jewish Passivity in the Face of Nazism, Rowman & Littlefield, Lanham, Maryland, 2013.
• Michael Grodin, Jewish Medical Resistance in the Holocaust, Berghahn, New York, Oxford, 2014.
• Istvan Deák, Norman Naimark, Europe on Trial. The Story of Collaboration, Resistance, and Retribution During World War II, Westview Press, Boulder CO, 2015.