Una di queste è quella di una resistenza attiva solo nel Nord Italia, nelle aree attraversate fra il 1944 e il 1945 dall’ultima linea difensiva tedesca, la linea Gotica, e in quella parte di paese che per meno di due anni fu la Repubblica Sociale Italiana. Si è sempre pensato che lo scontro con i nazi-fascisti fosse portato avanti al Nord con consapevolezza politica e organizzazione militare dalle formazioni partigiane mentre il Sud Italia rimaneva inerme, passivo di fronte all’occupazione tedesca e liberato velocemente dagli Alleati. Non manca l’eccezione che conferma questa impostazione, l’insurrezione napoletana delle Quattro giornate del settembre 1943, descritta molto spesso come un moto spontaneo di straccioni e scugnizzi mossi dalla fame.
Fortunatamente oggi la ricerca storica ha notevolmente approfondito il tema, fornendo gli strumenti necessari a smontare semplificazioni e interpretazioni schematiche, restituendo la dovuta giustizia agli enormi sacrifici e alla generosità di una lotta per la liberazione e la rinascita del paese partita proprio dal Sud e che dal popolo meridionale fu sostenuta fino all’ultimo giorno di guerra, grazie alla folta presenza di meridionali fra i partigiani del Nord o al ruolo di formazioni come l’abruzzese Maiella.
Poco conosciute sono le prime reazioni armate alla presenza dei tedeschi in Italia, eventi su cui da anni si anima il dibattito storiografico.
Certo è che prima ancora dell’8 settembre, e precisamente il 3 agosto a Mascalucia in provincia di Catania i tedeschi – non ancora formalmente occupanti ma alleati del Regno d’Italia fascista – affrontano una rivolta armata che vede unirsi militari italiani e popolazione locale contro le ruberie dell’esercito nazista.
Altra dimostrazione è la Puglia. La fuga del Re e di Badoglio a Brindisi non deve far pensare a un territorio pacificato, al contrario, all’indomani della caduta di Mussolini questo è il principale teatro di scontro insieme con l’Emilia-Romagna: è a Bari che va attribuita la prima vittoria del movimento resistenziale, quando militari e cittadini evitano la distruzione del porto della città da parte dei tedeschi, nonostante il posizionamento filo-nazista delle autorità locali.
Nella lettura semplificata di una Resistenza solo settentrionale si sorvola su un aspetto tanto banale quanto devastante: i tedeschi al Sud sono occupanti di un territorio che, dal loro punto di vista, ha tradito e va punito. Italiani traditori è, come è noto, il principale punto di vista tedesco fino all’ultimo giorno di guerra ma al Centro-Nord la Germania è formalmente alleata di un’autorità statale, la Rsi, proclamata il 23 settembre 1943 quando cioè era chiaro anche ai nazisti che il Sud era perduto. Qui la rabbia per il tradimento, unita alla necessità di rallentare l’avanzata alleata, scatenano una crudele politica di terra bruciata, saccheggi e ritorsioni da parte dell’esercito tedesco, con l’obiettivo di annichilire fisicamente e moralmente le popolazioni soggiogate.
Ciò è più vero che altrove nel principale teatro di guerra di quei mesi, la Campania.
A Salerno i moti spontanei di militari e popolazione sono determinanti per lo sbarco alleato del 9 settembre.
Nel casertano gli ufficiali e i reparti del disciolto esercito si ricongiungono alle bande partigiane di Giustizia e Libertà guidate da Pasquale Schiano.
Ad Acerra, per rappresaglia dopo gli attacchi, il 1° ottobre i tedeschi uccidono 88 persone e bruciano il centro del paese.
A Castellammare la lotta per scongiurare la distruzione degli impianti produttivi termina in stragi e deportazioni di massa.
Napoli
Fra i grandi centri italiani, Napoli, principale porto di riferimento per la guerra in Africa, è la città che con Messina aveva pagato il prezzo più alto alla guerra con più di 100 bombardamenti e 25.000 morti, circostanze che, secondo il duce, avrebbero finalmente fatto dei napoletani «un popolo nordico». È proprio questa grande città, semidistrutta e ridotta alla fame, la prima in Europa a liberarsi dall’occupazione nazista. Qui il crollo delle autorità politiche e militari italiane è reso evidente dalla fuga dei generali italiani, Pentimalli e Deltetto. Quest’ultimo, come ultimo atto, decreta la licenza di sparare agli assembramenti di più di due persone.
Logica conseguenza di un simile scenario è che dai primi di settembre si susseguono gli scontri fra ex militari, carabinieri, studenti e semplici cittadini che reagiscono alle fucilazioni e ai tentativi di disarmo, di saccheggio e di deliberata distruzione operati dai tedeschi.
Un giovane sacerdote, sotto le raffiche di mitraglia, si dedicava al suo pietoso ministero, ogni qualvolta un patriota cadeva colpito. Ma il meraviglioso è che, riposta di volta in volta la stola nell’ampia tasca della tonaca, imbracciava il fucile e scagliava bombe a mano come un vecchio soldato, incitando i patrioti all’attacco, per poi al momento opportuno riportare il ministero della pietà e della fede presso un ferito o un agonizzanteTestimonianza di Vincenzo Forzano in "Orgoglio 1943. Versi, parole, scritti per le Quattro giornate di Napoli", a cura di Giulia Buffardi e Guido D’Agostino, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 2019
Il 12 settembre il comandante Scholl assume il comando della città e il 26 settembre decreta il servizio di lavoro obbligatorio in Germania per gli adulti fra i 18 e i 33 anni. Alla massa di soldati imboscati in città per evitare i campi di lavoro si sommano quindi le migliaia di uomini nascosti dalla popolazione e con cui, già dal 22 settembre, cominciano gli assalti e i furti nei depositi di armi.
Il 27 settembre, mentre è in corso l’ennesimo rastrellamento di migliaia di uomini, al Vomero è ucciso un maresciallo tedesco e quasi contemporaneamente in diversi punti della città gruppi cittadini in armi, di cui la maggior parte ex soldati, attaccano gli occupanti.
Nei due giorni successivi i combattimenti esplodono in tutta la città, coordinati da capipopolo di quartiere che di fatto sopperiscono alla mancanza delle strutture di comando partigiano che di lì a poco sarebbero sorte più a nord. Dal pomeriggio del 29 i tedeschi avviano le trattative per garantirsi la fuga da una città che non erano riusciti a ridurre in «cenere e fango» come aveva ordinato Hitler. Non di meno, durante le Quattro giornate e la successiva ritirata i tedeschi compiono vere e proprie vendette contro l’anima stessa della popolazione napoletana.
Il 30 settembre, a ritirata appena iniziata e a combattimenti ancora in corso, i tedeschi incendiano Villa Montesano dove anni prima erano state evacuate alcune fra le collezioni di documenti più antiche e pregiate dell’Archivio di Stato di Napoli: i tedeschi le avevano scoperte a scontri in corso e, stando a quanto ricostruì l’ex soprintendente dell’Archivio, erano ben consapevoli del valore storico che rappresentavano per tutto il Sud.
Questa azione criminale segue l’incendio alla Biblioteca Nazionale del 10 settembre e l’atrocità del 12, quando una folla di cittadini è costretta ad assistere ed applaudire l’esecuzione di un marinaio sulla scalinata dell’università Federico II data contestualmente alle fiamme.
Queste però ebbero l’enorme merito di mostrare la vulnerabilità dell’esercito nazista, sconfitto sul campo non da un esercito regolare ma da un popolo in armi esasperato dalla guerra e desideroso di pace e libertà.
Fonti
Bibliografia
• Anpi, Quaderni di Storia, La Partecipazione del mezzogiorno alla Liberazione d’Italia, Mondadori, 2016
• Gloria Chianese, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia in Dizionario della Resistenza, Einaudi, 2006
• Serafino D’Agostino, Le quattro giornate di Napoli, Realtà Sannita, 2014
• Giovanni Cerchia, La Seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno. Resistenze, stragi e memoria, Luni, 2019
• il periodico «Nord e Sud» n. 6/1999, Mondadori.
Risorse digitali
Incendio alla Federico II
Materiali audiovisivi
Quattro giornate di Napoli