Dopo gli avvenimenti dei giorni precedenti nessuno si fa illusioni che la resa significhi ritorno a casa. Di questo miraggio i soldati della Divisione Acqui si sono illusi troppe volte da quando due settimane prima, l’8 settembre, avevano captato un messaggio radio della Bbc che annunciava la resa italiana. Da quel momento il desiderio di tornare a casa era stato più forte dei due anni di inattività, del rispetto delle gerarchie, di vent’anni di propaganda fascista e soprattutto delle minacce tedesche.
Quando la Acqui si arrende definitivamente al colonnello Barge e al comandante del XXII Corpo d’armata tedesco Hubert Lanz, molti soldati e ufficiali sanno benissimo che le probabilità di uscire vivi dall’isola si stanno assottigliando. Da giorni vanno avanti le esecuzioni dei soldati italiani che andavano arrendendosi, in linea con le disposizioni arrivate direttamente da Hitler proprio per Cefalonia, ormai al centro delle attenzioni degli stati maggiori dopo due anni in cui non si è sparato neanche un colpo.
A Cefalonia non deve essere fatto alcun prigioniero italiano a causa dell’insolente e proditorio contegno da essi tenutoOrdine dell’Oberkommando Wehrmacht, 15 settembre 1943
Su quest’isola gli 11.500 soldati e ufficiali della Divisione Acqui sono arrivati nell’aprile 1941, dopo avere perso un quarto dei propri effettivi nella disastrosa offensiva contro la Grecia lanciata da Mussolini nell’autunno 1940. Erano seguiti due lunghi anni di esasperante inattività, interrotta non da un ordine dei propri comandi ma dall’intercettazione di una trasmissione radio straniera.
A sinistra, Lo sbarco aereo delle nostre truppe a Corfù. L’occupazione di Cefalonia da parte dei nostri [Fonte Archivio Luce]
In realtà nella Grecia occupata le cose erano cambiate già dalla primavera del 1943: con una serie di provvedimenti culminati a luglio, di fatto l’XI armata italiana comandata dal generale Vecchiarelli era passata agli ordini diretti del comandante delle truppe tedesche dell’Europa sud-orientale, il generale Löhr e, analogamente a quanto stava avvenendo nel resto dei Balcani, i comandi italiani avevano fatto di tutto per permettere ai tedeschi l’applicazione del loro piano “Achse”, il disarmo di tutte le truppe italiane e la deportazione di chi si fosse opposto.
Al 9 settembre i giochi sono quindi fatti in tutta la Grecia, truppe tedesche occupano porti e aeroporti, circondano i contingenti italiani, li disarmano, il generale Lanz promette a Vecchiarelli il rimpatrio dell’XI armata, promessa tanto benevola quanto irrealizzabile, ma sufficiente per convincere il generale italiano ad emanare l’ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia.
Di fronte all’ordine di Vecchiarelli, il generale Antonio Gandin – comandante della Divisione Acqui a Cefalonia da pochi mesi – prende tempo e inizia la sua personale partita a scacchi con il comandante delle truppe tedesche sull’isola, per trattare una resa onorevole nella speranza di un ritorno in Italia.
Nei due giorni che seguono però gli animi della divisione Acqui si scaldano: alcuni ufficiali, i più noti sono Apollonio e Pampaloni, dichiarano apertamente la propria contrarietà alla resa, altri manifestano la volontà di continuare a combattere a fianco dei tedeschi mentre giungono dal continente le prime notizie di deportazioni e internamenti. In questo contesto Gandin emana l’ordine di ripiegamento dalle postazioni offensive e soprattutto dal vitale promontorio di Kardakata, da cui si controlla buona parte dell’isola.
La confusione dentro la Acqui a questo punto esplode e i tedeschi ne approfittano: all’alba del 12 due batterie italiane nel porto di Lixouri sono fatte prigioniere, per tutta la giornata si diffondono le voci su possibili ordini di resa e disarmo emanati da Gandin, al quale un carabiniere lancia persino una bomba a mano senza conseguenze.
Quella notte giunge sull’isola la notizia che il colonnello Lusignani, a capo delle truppe italiane nella vicina Corfù, ha rifiutato il disarmo e controlla l’isola, motivando ancora di più i soldati contrari alla resa.
Il 13 settembre è il giorno cruciale: due barconi tedeschi tentano lo sbarco nel capoluogo dell’isola (Argostoli) e la batteria comandata dal riottoso tenente Apollonio ne affonda uno mentre i partigiani greci attaccano il contingente tedesco nella città facendo i primi prigionieri. Non è l’inizio ufficiale della battaglia, ma lo sarà nel ricordo dei sopravvissuti anche perchè il 13 è il giorno del primo ordine chiaro giunto dai comandi italiani:
Considerare le truppe tedesche come nemiche
Nel frattempo però sta avvenendo quanto temuto da Gandin, a Cefalonia arriva Lanz in persona preludio ai rinforzi tedeschi, mentre Barge consegna l’ultimatum definitivo.
Quella notte poi succede qualcosa di inedito, dall’iniziativa del generale Gherzi parte una consultazione di massa fra le truppe italiane se consegnare le armi o combattere i tedeschi: la seconda opzione emerge quasi unanime.
Del gesto più determinante dell’intera vicenda, il rifiuto dell’ultimatum da parte di Gandin il giorno seguente, esistono più narrazioni, ma l’unica ancorata a fonti documentarie – gli archivi della Acqui furono distrutti prima della resa – è quella del diario di guerra tedesco dal quale emergerebbe la disobbedienza dei reparti italiani ai propri generali e l’impossibilità oggettiva di arrendersi in quel momento. La versione riportata dai sopravvissuti italiani è ben diversa: «Per ordine del Comando supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la Divisione Acqui non cede le armi […]».
Quale sia stato il tono della risposta, la notte tra il 14 e il 15 trascorre nella preparazione dell’imminente battaglia.
Alle 14 del 15 settembre, nella totale assenza di copertura aerea, i soldati italiani sostengono il primo di una serie di violenti bombardamenti a tappeto che radono al suolo i pochi ripari e distruggono i centri abitati dell’isola. Le truppe tedesche però sono ancora poche – erano 1800 uomini fino ad allora – e il giorno dopo Barge è costretto a fermare l’offensiva.
Il peggio però sta per arrivare, dal 17 comincia a sbarcare sull’isola un apposito gruppo di combattimento organizzato sul nucleo della 1ª Divisione Edelweiss. Chi fra i soldati italiani ha condiviso il fronte con questi battaglioni non ha bisogno di conoscere l’ordine di Hitler di non fare prigionieri: è la loro missione fin dal primo giorno di guerra, dalla Russia ai Balcani, e la loro esperienza in merito è il motivo per cui sono stati mandati a Cefalonia.
Il 17 riprende così l’offensiva tedesca e cominciano i primi massacri di soldati disarmati: in una località chiamata “Fosso del topo” i soldati italiani arresi vengono fatti allineare sul ciglio di un dirupo e mitragliati, una scena che si ripeterà per cinque giorni.
Il 19 la parte settentrionale dell’isola è in mano ai tedeschi.
Il 20 Argostoli è quasi rasa al suolo e il 21 parte l’attacco finale. Uno dei paladini della resistenza ai tedeschi, Pampaloni, si salva per miracolo dal massacro della sua compagnia.
A metà mattinata del 22 gli italiani si arrendono definitivamente, ma ciò non ferma la strage che porterà il difficile computo delle vittime a cifre comprese tra i 3800 e i 4500.
La mattina del 24 gli ufficiali italiani sono radunati nel cortile della tristemente nota “Casetta rossa” a capo San Teodoro, il primo a cadere dopo un processo sommario è il generale Gandin. Nei tre giorni seguenti i massacri si ripeteranno a Corfù dove i tedeschi sono sbarcati il 24.
La tragedia della Divisione Acqui non finisce a Cefalonia. Delle prime quattro navi partite dall’isola con i prigionieri italiani tre vengono affondate, causando più di 1300 morti.
Il resto dei sopravvissuti, circa 6500, inizia un viaggio di più di un mese verso i campi dell’Europa dell’Est su treni e navi stipati «oltre ogni limite di sicurezza» per espresso ordine di Lanz.
La tragedia senza fine della Divisione Acqui continuerà poi nei campi di prigionia russi, fino in Siberia, dove saranno mandati dopo la cattura da parte dell’Armata Rossa.
Come la maggior parte delle vittime della atrocità del conflitto mondiale, anche i caduti di Cefalonia per decenni non hanno avuto giustizia in un’aula di tribunale, nonostante diverse inchieste condotte a più riprese sia in Germania che in Italia. Lanz, processato e condannato a Norimberga per vari crimini di guerra fra cui anche quelli nelle Ionie, ha scontato solo una parte della sua breve pena. Solo pochi anni fa, a seguito del ritrovamento delle carte del celebre “Armadio della vergogna”, è stato possibile celebrare un processo che nel 2013 ha emesso una condanna che può sembrare poca cosa, il caporale Alfred Störk riconosciuto responsabile insieme ad altri del massacro di 117 ufficiali, ma che rappresenta un caso del tutto isolato nel panorama internazionale.
Nella memoria nazionale delle tragedie seguite all’armistizio dell’8 settembre 1943 quella di Cefalonia è forse la storia più nota, sicuramente quella più paradigmatica della sorte toccata a centinaia di migliaia di soldati italiani dopo il crollo dello stato fascista.
Si tratta senza dubbio di uno degli episodi più strumentalizzati del conflitto, certamente uno dei più trattati.
Chiedersi quale scelta avessero i comandi e i soldati e se siano state corrette le scelte di Gandin ha oggi ben poca importanza, molta di più ne ha coltivare la memoria e arricchirla con la ricerca storica, fuggendo dalle tante retoriche cui questa tragica vicenda è stata troppe volte sottoposta.
Fonti
Bibliografia minima:
• Giovanni Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Ionio, Rivista Militare, Ministero della Difesa, Roma 1995
• Luca Baldissara, Paolo Pezzino, a cura di, Crimini e memorie di guerra, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2004
• Hermann Frank Meyer, Manfred H. Teupen, a cura di, Il massacro di Cefalonia e gli altri crimini di guerra della 1° divisione da montagna tedesca, Gaspari, Udine 2012
• Camillo Brezzi, a cura di, Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione “Acqui” a Cefalonia e Corfù, settembre 1943, Il Mulino, Bologna 2014
• Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito, Il Mulino, Bologna 2016
• Marco De Paolis, Isabella Insolvibile, Cefalonia. Il processo, la storia, i documenti, Viella, Roma 2017
• Patrizia Gabrielli, Prima della tragedia. Militari italiani a Cefalonia e Corfù, il Mulino, Bologna 2020