L’alba della dittatura

Il delitto Matteotti

Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse […]
Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione! […] Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell’avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! […]
I candidati non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l’indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all’estero. […]
Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. […]
Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.

Giacomo Matteotti, segretario del Psu, Camera dei deputati, 30 maggio 1924

Franco Nero interpreta il discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924. Dal film "Il delitto Matteotti", 1973, di Florestano Vancini
Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo.
Benito Mussolini, segretario del Pnf e capo del governo, Camera dei deputati, 3 gennaio 1925

Questi due discorsi, pronunciati in Parlamento a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, rappresentano i confini temporali della vicenda del più importante omicidio politico del primo secolo dell’Italia unita, quello del giovane segretario del Partito socialista unitario, Giacomo Matteotti.
L’importanza della vicenda, e dei discorsi di Matteotti prima e di Mussolini poi, non è data soltanto dalla rilevanza dei protagonisti ma soprattutto da quello che queste parole comportano. Se il discorso pronunciato da Matteotti pochi giorni dopo le elezioni politiche del 1924 rappresenta la più netta condanna del fascismo espressa in Parlamento, le parole di Mussolini del 3 gennaio 1925 annunciano che il fascismo ha deciso di risolvere ogni pendenza con ciò che resta della democrazia parlamentare.

Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti

Come puntualmente avviene a partire da quell’anno, con l’approvazione dell’insieme di decreti passati alla storia come «leggi fascistissime» che trasformano ufficialmente in dittatura il governo fascista.
Il rapimento, l’assassinio, il ritrovamento del corpo di Matteotti e la vicenda politica che si sviluppa intorno a questi fatti, rappresentano quindi di fatto l’ultimo tragico atto dell’Italia liberale.

Ripercorrere il filo di questi eventi aiuta a comprenderne la portata.

Il 6 aprile 1924 si vota per rinnovare la Camera dei deputati del Regno per la terza volta in cinque anni, con una grande novità: le regole del gioco stavolta le hanno scritte i fascisti di Mussolini, che guidano il governo dall’ottobre 1922 nonostante siano minoranza in Parlamento. Dal 1923 è in vigore la legge elettorale «Acerbo» che garantisce un ricco premio di maggioranza – i due terzi dei deputati – alla lista che superi il 25% dei voti. Questa legge è solo uno degli strumenti con cui i fascisti contano di assicurarsi il controllo totale della politica italiana.

Manifesto di propaganda elettorale per le politiche del 1924
Manifesto di propaganda elettorale per le politiche del 1924, Renzo de Felice. L’avvento del fascismo, in "Storia d’Italia del XX secolo", Editalia, Roma, 1995

Al resto pensano le migliaia di squadracce e militanti del Partito fascista che funestano la campagna elettorale con continue violenze e presidiano i seggi il giorno delle elezioni. Il risultato è inevitabile: il «listone nazionale» voluto da Mussolini per tenere strette tutte le forze politiche a sostegno del suo governo – rappresentato sulla scheda dal fascio littorio – ottiene il 60% dei voti e 355 deputati su 535, le principali forze di opposizione – i due partiti socialisti, i popolari, i repubblicani, i comunisti e i democratici sociali – arrivano a circa 120 eletti.

Il 30 maggio è il giorno previsto per la convalida in Parlamento del risultato del voto. Fra i capi dell’opposizione che da settimane denunciano il clima in cui si è votato, uno su tutti è determinato ad affrontare direttamente Mussolini in aula: è Giacomo Matteotti, che guida i socialisti riformisti del Psu espulsi dalla maggioranza massimalista del Psi nell’ottobre 1922.

La puntuale denuncia dei brogli e dei crimini coglie di sorpresa i vertici fascisti e scatena l’ira di Mussolini.
Che lo scontro in Parlamento fra i due avesse raggiunto un livello inedito lo dimostra la sorveglianza che la Questura di Roma dispone intorno alle abitazioni di alcuni esponenti delle opposizioni, fra cui lo stesso segretario del Psu. Una sorveglianza che nella sua inefficienza rivela la complicità delle forze dell’ordine che non segnalano i goffi basisti dell’operazione intorno a casa Matteotti la sera del 9 giugno, notati invece da numerosi testimoni.

Giacomo Matteotti, nell'ultima fotografia scattata prima dell'omicidio
Giacomo Matteotti, nell'ultima fotografia scattata prima dell'omicidio
La residenza romana di Giacomo Matteotti in via Pisanelli 40 [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]
L'angolo tra il Lungotevere e via Scialoia dove l'auto dei sicari attendeva il passaggio di Matteotti [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]

Siamo in una fase in cui il Partito fascista non si è ancora fatto Stato, non tutte le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine rispondono direttamente al duce e anche dentro e intorno al partito Mussolini deve gestire l’inquietudine crescente di chi vorrebbe liquidare gli insolenti oppositori del nuovo assetto di potere.

È in questo clima che, con o senza l’esplicito ordine di Mussolini – fra gli elementi più dibattuti dalla storiografia –, di fatto il suo staff si attiva per eliminare Giacomo Matteotti.

L’iniziativa è presa da alcuni fedelissimi del duce: Cesare Rossi, suo consigliere personale e capo ufficio stampa della Presidenza del consiglio, membro del quadrumvirato che dirige il Pnf (di cui è vicesegretario) come Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Pnf e organizzatore della banda informalmente al servizio del Ministero dell’interno. Questo, assegnato a Mussolini stesso, è di fatto guidato dal sottosegretario Aldo Finzi, mentre a capo della polizia c’è un altro quadrumviro del Pnf e della marcia su Roma, Emilio De Bono. Altra figura chiave della catena di comando e organizzazione del delitto è un uomo di fiducia del sottosegretario, Filippo Filippelli, posto da Finzi a dirigere il «Corriere Italiano», un nuovo giornale espressione di alcuni circoli affaristici vicini al nascente regime.

La Lancia Kappa targata Roma 55-12169 usata da Dumini, Volpi, Viola, Malacria e Poveromo per il sequestro di Giacomo Matteotti
La Lancia Kappa targata Roma 55-12169 usata da Dumini, Volpi, Viola, Malacria e Poveromo per il sequestro di Giacomo Matteotti [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]

Filippelli, Marinelli e Rossi affidano l’operazione ad Amerigo Dumini, squadrista della prima ora e fra i più solerti picchiatori di cui può disporre la struttura più o meno formale di cui il fascismo si è dotato da quando si è insinuato nelle istituzioni, quella ceka fascista sulla cui natura oggi gli storici dibattono (organizzazione definita o insieme di bande di violenti) ma che senza dubbio operò in Italia e all’estero con funzioni di spionaggio e brutale polizia politica.

Insieme a Dumini, che le cronache descrivono come di casa al Viminale, fanno parte del gruppo Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo e Augusto Malacria, tutti provenienti dallo squadrismo lombardo e già noti alle forze dell’ordine per violenza politica ma anche per truffe, furti e bancarotte.
Fiancheggiatori sono poi Filippo Panzeri, Aldo Putato – formalmente dipendente del giornale di Filippelli insieme a Dumini – e l’austriaco Otto Thierschald, basista del gruppo, più volte visto intorno al deputato socialista nei giorni precedenti.

Lungotevere Arnaldo da Brescia [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]
Lungotevere Arnaldo da Brescia [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]

Intorno alle 16.30 di martedì 10 giugno 1924 gli uomini della squadra di Dumini aggrediscono Giacomo Matteotti sul lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma, lo stordiscono caricandolo a fatica in macchina e continuando a colpirlo sui sedili posteriori della Lancia lambda noleggiata a nome Filippelli. Matteotti si difende, lancia fuori dall’auto il suo tesserino da deputato, rompe con un calcio il vetro che separa i passeggeri dall’abitacolo dell’autista, costretto a coprire con il clacson le urla della lotta che termina con una coltellata fra ascella e torace.
L’auto prosegue, notata da molti testimoni, verso Ponte Milvio e la via Flaminia, percorre circa 25km fino a quando gli assalitori decidono di seppellire alla meglio il cadavere di Matteotti in un bosco della Quartarella, nei pressi del quale sarà ritrovato soltanto il 16 agosto.

I tanti errori nell’esecuzione del delitto e l’arroganza di chi si sente al riparo da possibili indagini spiegano gli eventi successivi: fra i numerosi testimoni, c’è chi è riuscito a segnare il numero di targa dell’auto che Dumini parcheggia persino nel cortile del Viminale prima di riconsegnarla a Filippelli.

La lunga giornata degli assalitori si conclude con l’incontro con il segretario personale di Mussolini, Arturo Benedetto Fasciolo, circostanza che lascia pochi dubbi sulla consapevolezza di Mussolini della spedizione.

Via Flaminia, 18° km
Via Flaminia, 18° km, dove venne trovata la giacca insanguinata di Matteotti [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]

La polizia e gli organi inquirenti non sono ancora interamente fascistizzati e le cose prendono una piega non prevista per gli organizzatori. Il 12 giugno viene arrestato Dumini, poco dopo sono presi tutti gli altri autori materiali; Filippelli, il cui nome è associato all’auto usata per l’omicidio, è invece catturato il 17. Mentre il caso sta montando nell’opinione pubblica, Rossi è praticamente costretto a costituirsi il 22 giugno così come Marinelli.

Come nei più classici degli scandali politici, due degli organizzatori, Rossi e Filippelli, non appena catturati scrivono due memoriali in cui accusano come principali mandanti De Bono (capo della polizia) e Mussolini – che secondo Rossi all’indomani del discorso di Matteotti del 30 giugno avrebbe detto quest’uomo non deve più circolare –.

Le vicende successive confermano la caratura di queste figure: dopo avere parzialmente ritrattato le accuse del memoriale, Filippelli sarà scarcerato nel 1925 insieme a Rossi, contribuendo tre anni dopo al nuovo arresto di quest’ultimo. Passerà i due decenni successivi fra tentativi di spericolati affari, misere bancarotte, detenzione in carcere e rocambolesche fughe all’estero, fino a essere riprocessato per il delitto Matteotti nel 1947 e prosciolto per amnistia.
Marinelli, più cauto degli altri due, uscito nel 1925, continuerà la sua carriera nel regime per finire fucilato a Verona nel 1944 insieme agli altri firmatari dell’ordine del giorno Grandi del 25 luglio 1943.

Mussolini con i quadrumviri
Mussolini con i quadrumviri: Michele Bianchi (coperto dall'uomo in primo piano), Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi

Il primo processo, istruito dal magistrato antifascista Mauro Del Giudice, poi sostituito, è spostato da Roma a Chieti e si conclude nel marzo 1926 con poche e lievi condanne per omicidio preterintenzionale e persino tre assoluzioni per gli imputati, difesi dal segretario del Pnf, l’avvocato Farinacci (costretto da Mussolini alle dimissioni dopo questa vicenda). Un secondo processo dopo la guerra ribalterà queste sentenze, condannando all’ergastolo Dumini, Viola e Poveromo.
L’estate del 1924 è unanimemente considerata come il punto più basso di popolarità del fascismo e del nascente regime:

le iscrizioni al partito crollano, spille e gagliardetti spariscono dalle giacche dei passanti. Numerose testimonianze ricordano le preoccupazioni di Mussolini per le conseguenze di quanto avvenuto e per le evidenti compromissioni dei vertici del partito, oggetto non a caso di un sostanzioso rimpasto benché ufficialmente sia negato ogni coinvolgimento. Prima sono destituiti Rossi e Marinelli, poi sono costretti alle dimissioni De Bono e soprattutto Finzi. L’ex capo dei nazionalisti Federzoni viene nominato ministro dell’interno al posto dello stesso Mussolini.

Nel paese la commozione per la morte di Matteotti assume quasi le forme del lutto nazionale, specialmente dopo il ritrovamento del cadavere e lo struggente viaggio in treno da Roma a Fratta Polesine della salma, salutata da migliaia di persone.

Come giustamente ricordato da diversi storici, si tratta di un ultimo, effimero moto di indignazione morale che non sfocia in una protesta attiva né fra la popolazione né fra l’opposizione politica, rimasta orfana di uno dei suoi più determinati esponenti.
La risposta dei partiti d’opposizione all’omicidio è rappresentata prima dalla costituzione (il 14 giugno) di un Comitato delle opposizioni – che oltre a socialisti, comunisti e cattolici riunisce repubblicani, liberali non governativi e sardisti – e successivamente dalla ben nota secessione dell’Aventino, la diserzione dei lavori di una Camera dei deputati già in procinto di auto-sospendersi per una lunga pausa estiva fino a novembre.

Avanti! 14 giugno 1924
Avanti! 14 giugno 1924

I vertici socialisti scelgono un’improbabile strategia legalitaria, aspettando un sussulto del re – che non arriverà – e pretendendo lo scioglimento delle milizie e la riaffermazione di una autorità statale nel frattempo sempre più corrotta dal cancro fascista. Lo sciopero di dieci minuti del 27 giugno, proclamato in contemporanea con l’inizio dell’Aventino, non sposta di una virgola lo scenario politico di quell’estate e già a novembre, alla ripresa dei lavori parlamentari, il fronte unico si sfalda.

Il funerale di Giacomo Matteotti a Fratta Polesine [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]
Il funerale di Giacomo Matteotti a Fratta Polesine [Fonte Casa-Museo Giacomo Matteotti]

Matteotti però nel frattempo diventa ciò che Mussolini temeva, un martire antifascista in cui si identificano tutte le anime che si oppongono al nascente regime.

Nei lunghi anni di dittatura l’energico esempio di colui che sfidò apertamente Mussolini e lottò come un leone contro i suoi assalitori sarà una costante spina nel fianco per il fascismo e una fonte d’ispirazione per gli antifascisti che per vent’anni, nel suo nome, sceglieranno di non arrendersi.

Fonti

Bibliografia minima:
• Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Einaudi, Torino 1966
• Giuseppe Rossini, Il delitto Matteotti fra il Viminale e l’Aventino, Il Mulino, Bologna 1968
• Giacomo Matteotti, Scritti e discorsi, a cura della Fondazione Matteotti, Guarda, Parma 1974
• Carlo Silvestri, Matteotti, Mussolini e il dramma italiano, Cavallotti editore, Milano 1981
• Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna 2004
• Giovanni Borgognone, Come nasce una dittatura. L’Italia del delitto Matteotti, Laterza, Roma-Bari 2013
• Giacomo Matteotti, Un anno e mezzo di dominazione fascista, a cura di Stefano Caretti, Pisa university press, Pisa 2020, 13° volume delle Opere di Matteotti curate dalla Fondazione Giacomo Matteotti

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